Trib. di Verona 25- 03-1998 in funzione di giudice unico - Est. Abate - Arena Finanziaria s.p.a. in a. s. c. ISEFI (Internazionale di Servizi Finanziari) s.p.a.

 

Il Tribunale (omissis ...).

Deve essere esaminata con precedenza l'eccezione sollevata dalla convenuta per negare l' ammissibilità dell'azione revocatoria sotto il profilo temporale con riferimento alla data (ottobre 1992) dell'atto impugnato. Deduce la convenuta che al caso di specie non è applicabile il principio di retrodatazione del periodo sospetto che si pretende di far discendere dalla sottoposizione della società Arena Finanziaria ai procedimenti di amministrazione controllata e di amministrazione straordinaria.

L'eccezione non è fondata.

Per vero è ormai jus receptum (vedi di recente, Cass. 21 febbraio 1997, n.§1612 e 18 febbraio 1997 n. 1493) il principio di retrodatazione del periodo sospetto in caso di consecuzione di procedure concorsuali e tale interpretazione del sistema revocatorio fallimentare ha superato il vaglio di legittimità costituzionale (Corte cost. 6 aprile 1995, n. 110; 1°§giugno 1995, n. 224, ord.; 23 gennaio 1997, n. 12, ord.).

Non pare dubbio che il principio abbia vigore anche in caso di sottoposizione del debitore, già ammesso all'amministrazione controllata, a procedura diversa dal fallimento, nella quale sia applicabile il sistema revocatorio fallimentare (come l'amministrazione straordinaria), data la sostanziale identità, sotto il profilo in esame, delle situazioni poste a raffronto.

Né può essere di ostacolo a tale conclusione il principio enunciato dalla Suprema Corte nella sentenza 27 dicembre 1996, n. 11519, secondo cui nella amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi l'esperibilità delle azioni revocatorie sarebbe subordinata all'inizio della fase liquidatoria. Nel caso di specie, la convenuta, sulla quale incombeva il relativo onere, non ha contestato la proponibilità dell'azione sotto tale profilo.

Appare, poi, incontrovertibile la ricorrenza del presupposto sostanziale della consecuzione: le due procedure si sono succedute, senza soluzione di continuità, nel contesto dell'unica situazione di crisi che ha colpito l'impresa e che, apparsa inizialmente momentanea, si è, poi, rivelata irreversibile, in quanto dovuta a vero e proprio dissesto.

Venendo all'esame del merito della domanda attorea, va osservato che l'azione risulta proposta contro la società cessionaria del credito sulla base della seguente ricostruzione della vicenda: l'Arena Finanziaria s.p.a., debitrice della propria controllata Fin. Sipa s.p.a., ha ceduto un credito alla Olivetti Factoring, destinando il corrispettivo della cessione all'estinzione della propria esposizione debitoria ed ha, quindi, eseguito un pagamento con mezzo anormale.

La domanda non è fondata.

Il negozio di cessione - in sé considerato, non è revocabile quale atto a titolo oneroso, del quale non è allegata grave sproporzione delle prestazioni a danno della cedente, perché compiuto oltre l'anno anteriore al decreto di ammissione ad amministrazione controllata.

Lo stesso negozio, pur considerato quale parte della complessiva operazione che ha avuto come epilogo il versamento del corrispettivo a favore di altro soggetto asseritamente creditore della cedente, non pare suscettibile di revoca in danno della cessionaria come mezzo anormale attraverso il quale venne eseguito il pagamento in favore dell'altro soggetto.

Per vero, nell'operazione vanno individuati due atti di disposizione, autonomi anche se collegati, astrattamente suscettibili di impugnativa: la cessione del credito ed il versamento in favore di altro soggetto indicato dalla cedente della somma costituente corrispettivo della cessione.

Nel caso di specie, l'autonomia degli atti comporta che il riscontro della sussistenza dei presupposti di revocabilità e l'individuazione dei soggetti passivamente legittimati vadano effettuati separatamente con riguardo a ciascuno degli atti stessi.

Il collegamento dei negozi consiste nella semplice circostanza che la cedente si è indotta alla stipula della cessione al fine di procurarsi i mezzi necessari per eseguire un pagamento a favore di altro soggetto, estraneo al negozio di cessione. L'atto solutorio, pertanto, non può in alcun modo determinare il mutamento della qualificazione, sotto il profilo della rilevanza nel sistema revocatorio fallimentare, del primo atto di disposizione da atto a titolo oneroso a pagamento con mezzo non normale.

L'estraneità, tra loro, dei due soggetti con i quali la società Arena Finanziaria ha operato - il primo interessato unicamente alla cessione del credito ed il secondo beneficiario della destinazione finale del corrispettivo della cessione - appare di insormontabile ostacolo alla pretesa "comunicazione" alla cessionaria dello scopo satisfattivo di obbligazioni, con mezzo anormale, dell'operazione complessiva.

Né giova alla tesi attorea il richiamo dei principi enunciati dalla Suprema Corte nelle sentenze 25 febbraio 1993, n. 2330 e 25 novembre 1992,§n. 12538 (alle quali si aggiungono, conformi, Cass. 13 luglio 1994, n. 6569, Cass. 8 marzo 1995, n. 2706 e Cass. 11 aprile 1997, n. 3155) al fine di individuare ipotesi di pagamenti eseguiti con mezzi anormali in complesse operazioni, costituite da negozi finalisticamente collegati in vista dello scopo di estinzione di precedenti passività.

Le fattispecie oggetto di esame in tali pronunce differiscono, in maniera rilevante, dalla vicenda oggetto della presente causa per la decisiva considerazione che, in quelle, l' impugnativa è diretta contro l'atto solutorio e nei confronti del soggetto beneficiario dell'atto impugnato .In tali contesti, quel che rileva, ai fini della legittimazione passiva a fronte dell' azione revocatoria, è la qualità di creditore destinatario dell'atto satisfattivo terminale rivestita dal convenuto. E tale atto viene qualificato come anormale, e, quindi, assoggettato al più rigoroso regime previsto dall'art. 67 primo comma, n. 2 legge fallimentare, per effetto del collegamento con altro negozio "a monte", stipulato con lo stesso creditore o con altro soggetto, ma nel contesto di una complessa operazione ideata e realizzata nell' interesse del creditore (e, in una fattispecie, sotto la "regia" di un gruppo di creditori).

Appare evidente che l'esposto percorso argomentativo non può in alcun modo dare fondamento alla pretesa di considerare come atto solutorio anormale il negozio di cessione del credito stipulato con la Olivetti Finfactoring s.p.a. Tale qualificazione potrebbe, in ipotesi, essere prospettata in relazione al pagamento effettuato, utilizzando il corrispettivo della cessione, a favore della s.p.a. Fin. Sipa. Ma non è certo sostenibile nei confronti del soggetto, diverso dal beneficiario finale dell'operazione, che ha stipulato con la debitrice un autonomo negozio, munito di valida causa propria, nel quale è del tutto irrilevante "il motivo" che ha determinato la volontà dei contraente.

Riprova della fondatezza della esposta conclusione si ravvisa nella considerazione della vicenda oggetto di causa alla luce della tesi (ora recepita dalla giurisprudenza di legittimità, vedi Cass. 16 settembre1992, n. 10570) che qualifica come "redistributiva" la funzione della revocatoria fallimentare.

La ricostituzione del patrimonio del debitore, in reazione contro atti compiuti con lesione della par condicio, va perseguita ed attuata in finzione di ciò che dal patrimonio stesso è uscito e nei confronti dei soggetti destinatari dei singoli atti di disposizione.

Nella fattispecie oggetto di causa, risultano astrattamente revocabili, in quanto lesivi, sotto profili diversi, della par condicio: a) il negozio di cessione del credito nei confronti della cessionaria, al fine di determinare l' inefficacia del trasferimento del credito e b) il pagamento di debiti nei confronti della creditrice, al fine di recuperare l'oggetto dell'atto solutorio, previa verifica, s'intende, della ricorrenza dei rispettivi presupposti delle azioni.

Ma le posizioni di tali soggetti e le azioni proponibili contro di essi, in coerenza con le premesse giustificatrici dell'applicazione dei sistema revocatorio, vanno tenute separate.

In particolare, appare fin troppo evidente che non si può ammettere la revocabilità del secondo atto (il pagamento) in danno del contraente del primo negozio (la cessione del credito). Un'operazione siffatta presupporrebbe un inconcepibile distorcimento della finalità dell'azione ed una inaccettabile commissione di profili revocatori del tutto distinti, poiché si chiamerebbe un soggetto a rispondere non della lesione della par condicio realizzata con il negozio da esso stipulato, ma di altra, compiuta a mezzo di diverso atto al quale egli è rimasto del tutto estraneo, al quale non aveva alcun interesse, neppure indiretto, e del quale non ha in alcun modo beneficiato.

Si deve, in conclusione, pronunciare il rigetto delle domande attoree.

(omissis ...).