Trib. di Verona 10-07-1989 - Pres. Casalboni - Est. Fabiani - Antonini Giuseppe c. Accettura Michelangelo

 

Il Tribunale (omissis ...).

Dai documenti che sono stati prodotti si evince che l'Antonini aveva concesso in locazione ad Arduini Germano un immobile al canone mensile di L. 300.000, e che dopo la dichiarazione di fallimento del conduttore la curatela ha utilizzato i locali locati (quanto meno non provvedendo a liberarli) per un periodo di circa 19 mesi; sul punto si palesa significativa l'autorizzazione concessa dal giudice delegato, per il pagamento di un "acconto" sul maggior credito del locatore, rilasciata dopo che l'immobile era stato riconsegnato.

Per il caso in esame va, allora, invocata l'applicazione della norma di cui all'art. 80 legge fallimentare, a tenore della quale, "in caso di fallimento del conduttore, il curatore può in qualunque tempo recedere dal contratto, corrispondendo al locatore un giusto compenso...". Tale disposizione, ancorché di non agevole lettura, ha il preciso significato di attribuire al curatore la facoltà di recedere dal contratto senza alcun vincolo temporale e senza dover essere assoggettato ad una eventuale richiesta risarcitoria del locatore al quale competerà soltanto il giusto compenso. Ma se il curatore non manifesta di voler attenersi a tale facoltà la norma che regola il rapporto di locazione va rinvenuta, a contrario, dal complesso delle disposizioni comprese fra l'art. 72 e l'art. 78 legge fallimentare che sanciscono, esplicitamente, lo scioglimento del contratto per effetto del fallimento di una delle parti (Cass. 19 aprile 1982, n. 2428). La ragione della prosecuzione ex lege del contratto di locazione è stata da una parte della dottrina ricondotta alla necessità di tutelare le esigenze della massa fallimentare, mentre altre volte si è sostenuto che la scelta legislativa intende garantire la posizione del locatore che altrimenti si vedrebbe privato della disponibilità del bene, senza poter vantare alcun diritto di credito per la riscossione dei canoni. Qualunque sia la soluzione dogmatica cui si acceda, è ormai acclarato che il curatore se non recede dal contratto subentra nella medesima posizione contrattuale del fallito, con l'obbligo preminente di pagare il canone di locazione. Sul punto va segnalato che l'orientamento giurisprudenziale è assolutamente pacifico, tanto con riferimento alla naturale prosecuzione del rapporto, quanto con riguardo all'obbligatorietà del pagamento dei canoni, con collocazione del credito fra quelli da pagare con prededuzione (Cass. 6 aprile 1983, n. 2421; Cass. 9 febbraio 1981, n. 796; Cass. 3 giugno 1980, n. 3611).

In tale contesto è evidente che l'Antonini ha maturato il credito di L. 5.700.000, pari all'ammontare di diciannove mensilità. Certamente tale obbligazione gravava sulla massa, dal momento che il rapporto è proseguito nell'interesse della curatela e quindi di tutti i creditori concorrenti. Ma la natura di debito di prededuzione si perde con la cessazione della procedura concorsuale cui acceda il rapporto per il quale l'obbligazione è stata costituita; in detta prospettiva, la chiusura del fallimento ha comportato il venire meno della natura prededucibile del credito dell'Antonini, ma ovviamente non può aver inciso sull'esistenza ed esigibilità di tale credito. Ebbene, v'è allora da chiedersi attraverso quale via possa avvenire la soddisfazione dei crediti di massa rimasti insoddisfatti. In primo luogo va osservato che il creditore insoddisfatto è legittimato ad impugnare prima il decreto con il quale il giudice delegato rende esecutivo il piano di riparto (Cass. 5 luglio 1988, n. 4421) e poi il decreto di

chiusura del fallimento (in questo senso è orientata autorevole parte della dottrina), ma se - come nel caso in esame - ciò non avvenga, non per questo si può sostenere che il creditore abbia implicitamente rinunziato a far valere il proprio credito; la tutela creditoria resta piena anche dopo la chiusura e va, pertanto, individuato il soggetto passivo dell'obbligazione di massa.

Fra le varie soluzioni proposte dalla dottrina, al Collegio pare preferibile quella secondo la quale i debiti di massa gravano sul debitore fallito, talché i creditori possono rivalersi sul debitore quando questi sia tornato in bonis; tale teoria trova la propria valida giustificazione nel fatto che i debiti della massa sono, in realtà, debiti del fallito (Cass. 24 novembre 1962, n. 3186; Cass. 23 giugno 1961, n. 658), ora che nel testo della legge fallimentare non sono state ripetute alcune norme del codice di commercio che lasciavano trasparire una certa soggettività nella massa dei creditori.

Esposte queste considerazioni, è facilmente intuibile che la domanda di condanna del curatore al pagamento dell'importo dovuto per canoni di locazione non è accoglibile.

Ma, come si era accennato all'inizio della motivazione, la domanda, sotto altri profili, potrebbe venire diversamente qualificata come azione risarcitoria per avere il curatore omesso di diligentemente adempiere al proprio incarico, negando il pagamento ad un credito di massa.

Seguendo questa diversa linea argomentativa, deve osservarsi che al creditore pretermesso non può essere inibito di azionare la propria pretesa chiamando in causa il curatore, quale soggetto cui si imputa di aver svolto l'incarico con negligenza.

L'ammissibilità di una siffatta azione per dimostrata incapienza del patrimonio del fallimento a soddisfare le obbligazioni di massa è stata oggetto di esame da parte della dottrina e della giurisprudenza che hanno concluso per l'ammissibilità di una tale scelta. Ma nel caso di cui si discute manca quel nesso eziologico che sempre deve accompagnare il rapporto fra fatto ed evento. Se infatti, da un lato, è evidente l'esistenza di un evento pregiudizievole da identificarsi nel mancato pagamento, dall'altro lato, non è possibile in alcun modo accertare l'esistenza della condotta illecita posta in essere dal dr. Accettura. Risulta per tabulas che il convenuto, con atto del 27 giugno 1984, dichiarò di accettare l'incarico (in sostituzione del defunto avv. Salamone) e, sul presupposto dell'avvenuto integrale pagamento dei debiti con i fondi della curatela (tanto che il libretto bancario era già stato estinto), richiese la chiusura del fallimento, disposta dal Tribunale con decreto di tre giorni più tardi.

Una verifica del dato storico in tali termini esclude che al convenuto sia imputabile alcunché; non può essere ritenuto responsabile di aver pagato debiti concorsuali prima di aver soddisfatto quelli di massa posto che l'attività di riparto dell'attivo venne compiuta dal precedente curatore; né può essere censurato per non aver controllato come erano stati fatti i pagamenti, dal momento che l'esecutività del piano di riparto rende immutabile il corso dell'assegnazione delle somme che divengono irripetibili (App. Milano 5 giugno 1984 in Il Fallimento, 1984, 1305).

Il dr. Accettura non può, allora, essere considerato responsabile del danno che il creditore assume sofferto: per vero l'Antonini non ha neppure dimostrato che nel corso del fallimento vennero pagati crediti concorsuali, fatto questo che rappresenta un ulteriore tassello per affermare l'infondatezza della domanda.

(omissis ...).