Trib. di Verona 29-05-1990 - Pres. Abate - Est. Fabiani - Fall. s.r.l. Pinto c. Hotel Victoria s.p.a.

 

Il Tribunale (omissis ...).

L'azione proposta dalla curatela, va esattamente qualificata alla luce dell'art. 64 legge fallimentare, in guisa che era onere dell'attore, dimostrare che era intervenuto un pagamento da parte dell'imprenditore fallito entro il biennio anteriore alla dichiarazione di fallimento e che l'atto avesse natura gratuita, a nulla rilevando la inscientia decotionis dell'accipiens.

Il primo requisito oggettivo è stato dimostrato: la sentenza di fallimento a carico della Pinto s.r.l. è stata pronunciata il 18 aprile 1988: il pagamento risulta avvenuto nel 1987, come attestano le fatture dell'Hotel Victoria, nelle quali compare la dicitura "pagato". Per vero, nelle stesse difese del convenuto, non viene mai contestato che il pagamento sia avvenuto da parte della società Pinto s.r.l.

L'esito delle prove orali, consente di affermare che l' ospite il cui soggiorno è stato pagato dalla Pinto s.r.l., era un certo sig. Pierfederici inviato dal sig. Pinto e accompagnato in albergo dal medesimo; in questo senso si sono espressi i testi Loro e Amicabile. In particolare la teste Amicabile ha riferito che il Pinto aveva chiesto che il conto fosse a lui addebitato.

Onde chiarire ogni possibile equivoco, è opportuno precisare che il sig. Pinto Mario, all'epoca dei fatti, non era amministratore della società, essendolo diventato, soltanto, nel marzo del 1987, cioè dopo che si erano sviluppati i negozi e i rapporti di cui alla odierna controversia.

Così delineati i termini fattuali della causa, è evidente che il thema decidendum afferisce, esclusivamente, alla specificazione della nozione di atto a titolo gratuito, introdotta dal legislatore all'art. 64 legge fallimentare.

La difesa del fallimento, a conforto della propria posizione, assume che la gratuità dell'atto va riguardata ex latere del solvens (cioè del fallito), nel senso che l'atto è gratuito laddove a quel depauperamento non consegua, un corrispettivo in favore del fallito; con riferimento al caso di specie, la Pinto s.r.l. avrebbe pagato un credito effettivamente vantato dall'Hotel Victoria, ma nei confronti di altro debitore (Pinto Mario, ovverosia colui che ha ordinato il servizio).

Il convenuto, a parte alcune trascurabili censure sul modus operandi della curatela, oppone che la gratuità dell'atto andrebbe vista con riguardo alla situazione dell'accipiens, in guisa che se il pagamento serviva per estinguere un debito effettivamente esistente (sebbene imputabile a terzi), non vi sarebbe spazio per l' azione ex art. 64 legge fallimentare.

Come è ben noto alle parti che, sul punto, hanno rispettivamente indicato i precedenti giurisprudenziali a proprio favore, la questione dibattuta in questa sede è assai controversa in giurisprudenza e in dottrina.

E' opinione di questo Tribunale che sia preferibile la tesi secondo la quale, ai fini della azione fondata sull'art. 64 legge fallimentare, occorra prendere le mosse dalla posizione del fallito per valutare la gratuità dell'atto di disposizione del patrimonio, pur se appare opportuno adottare taluni temperamenti rispetto alla tesi più rigorosa affermata da una parte della giurisprudenza di merito.

Secondo l'indirizzo tracciato dalla Corte regolatrice (Cass. 11 luglio§1989, n. 3265 in Giur. comm., 1990, II, 28; Cass. 13 settembre 1983 n.§5548, in Foro it., 1984, I, 490), quando viene eseguito il pagamento di un debito altrui da parte del terzo, ricorre la fattispecie di cui all'art. 1180 codice civile, in guisa che tale atto va qualificato adempimento e, l'adempimento, in quanto tale non può che essere prestazione a titolo oneroso, salvo l'aspetto di gratuità nei confronti del soggetto che era tenuto all'adempimento. In tale prospettiva, la gratuità della attribuzione, andrebbe riguardata ex parte creditoris nel rapporto fra terzo e creditore ed ex parte debitoris fra terzo che paga e debitore originario. La soluzione (sul cui solco si sono innestate talune decisioni dei giudici di merito, in particolare del tribunale e della Corte di appello di Milano) che pure si palesa non priva di una propria logica, appare per vero del tutto avulsa dal contesto normativo entro il quale va collocato l' art. 64 legge fallimentare. Questa disposizione si trova come regola d'apertura nella Sezione III della legge fallimentare, intitolata "Degli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori" e va, quindi, interpretata come norma diretta, assieme a quelle che seguono, a reintegrare il patrimonio del fallito depauperato dal compimento di taluni atti in epoca prossima al fallimento. Ad avviso del Tribunale, il sistema revocatorio (comprensivo della inefficacia di diritto di cui all'art. 64 legge fallimentare) svolge la precisa funzione di redistribuire a tutti i creditori il rischio della insolvenza, allo scopo di destinare a tutti i creditori, nell'ottica della par condicio, le risorse esistenti nel patrimonio del debitore al momento del fallimento, ed in aggiunta quelle disperse nel periodo immediatamente precedente.

In questo ambito, le azioni di "recupero", possono essere ostacolate dalla protezione che l'ordinamento ricollega a talune situazioni di fatto ritenute meritevoli di tutela per il principio dell'affidamento; in relazione agli effetti che si sono prodotti sul patrimonio del fallito, il legislatore ha previsto una graduazione delle possibili ipotesi che si presentano: maggior tutela a chi ha ricevuto dal fallito ciò che era dovuto; minor tutela per chi ha ricevuto una prestazione sproporzionata rispetto a quella erogata; nessuna tutela per chi ha fruito di una prestazione alla quale il fallito non era tenuto.

Il Collegio ritiene che una siffatta interpretazione del tessuto normativo della Sezione III non possa essere contestata; in questa prospettiva, se l'azione ex art. 64 legge fallimentare intende porre rimedio al pregiudizio che i creditori hanno subito per effetto dell'atto dispositivo, non si vede da quale angolatura ci si debba porre, se non da quella del debitore (posto che il patrimonio depauperato è solo quello del fallito).

A tali osservazioni, la difesa del convenuto può replicare osservando che nel confronto fra la tutela accordata ai creditori del fallito e quella assegnata al creditore dell'obbligato originario, deve prevalere questa seconda in quanto non vi è alcun lucro da parte del beneficiario della prestazione che altro non riceve se non quanto a lui dovuto.

Effettivamente, se la soluzione della querelle dovesse essere presa sulla base della supposta prevalenza dell'uno o dell'altro interesse, sarebbe agevole riconoscere l'opinabilità della scelta.

Piuttosto, al Tribunale pare che la già descritta collocazione della norma possa offrire sufficienti spunti per la decisione della fattispecie.

Infatti, se è evidente che il legislatore ha inteso prevedere dei rimedi avverso gli atti di disposizione del fallito, sembra corretto affermare che la nozione di atto a titolo gratuito dettata nella norma in esame, sia diversa da quella comunemente utilizzata dagli interpreti. Innanzi tutto, gratuità non significa necessariamente liberalità, come ha ricordato, in motivazione, la stessa Cass. n. 3265/1989, ciò che consente di estendere già la nozione di gratuità; il fatto, poi, che sia importante aver riguardo alla posizione del fallito, lo si evince dalla fattispecie della donazione indiretta, la cui inefficacia non potrebbe mai essere dichiarata se si accogliesse la tesi della Suprema Corte (sulla ammissibilità della azione in tale caso, Trib. Palermo 6 agosto 1981, in Il fallimento 1982, 300).

La nozione che l' interprete deve ricavare dal tenore letterale dell' art. 64 legge fallimentare è quella secondo la quale per gratuità dell'atto, deve intendersi l'atto di disposizione commesso dal fallito senza alcun corrispettivo, diretto o indiretto. Ciò significa che se vi è stata una diminuzione del patrimonio alla quale non si è accompagnato alcun corrispettivo, l'atto è gratuito agli effetti dell'art. 64 legge fallimentare; la gratuità potrà essere esclusa nel caso in cui il solvens abbia ricevuto un corrispettivo oltre che dall'accipiens anche dal debitore beneficiato. Infatti, in tale prospettiva il fallito ha compiuto un atto gratuito solo in apparenza, posto che nella sostanza il pagamento è stato "compensato" dall'esito di accordi negoziali intervenuti con il debitore principale.

Per quanto attiene al caso in esame, il convenuto avrebbe potuto provare, giovandosene, l'esistenza di rapporti fra il Pinto e la Pinto s.r.l. idonei ad escludere la gratuità della attribuzione; poiché tale prova non è stata dedotta, deve riconoscersi la gratuità del pagamento.

La verifica empirica dell'esattezza di una siffatta costruzione può ricavarsi dalla seguente osservazione: lo strumento del pagamento di debiti altrui potrebbe risolversi nel surrettizio occultamento del patrimonio del fallito, con operazioni in sé lecite e sottratte alla dichiarazione di inefficacia ex art. 64 legge fallimentare (residuando, forse, posto che le decisioni menzionate non ne fanno cenno, il rimedio di cui all'art. 67 l. fall. con l'onere probatorio a carico della procedura).

Appare pertanto condivisibile l' orientamento adottato da diversi giudici di merito (Trib. Udine 14 febbraio 1986, in Il fallimento, 1986, 693;§Trib. Modena 25 maggio 1985, ivi, 1985, 1103; Trib. Genova 2 ottobre 1984, ivi, 1985, 540; Trib. Napoli 13 ottobre 1982, in Dir. fall., 1983, II,§982) e recepito, sebbene in obiter dictum, dalla Corte di legittimità (Cass. 21 novembre 1983, n. 6929, in Il fallimento, 1984, 540), cui la dottrina ha prevalentemente aderito.

L'accoglimento della domanda, attesa la natura dichiarativa della declaratoria, importa che la richiesta di condanna al pagamento degli interessi legali, vada accolta e che il dies a quo vada identificato nel giorno della dichiarazione di fallimento (18 aprile 1988).

(omissis ...).