Fonte: Le Società - Giurisprudenza 6 / 1992, p. 763

Compravendita di azioni

RAGGIRI E ARTIFIZI NELLA COMPRAVENDITA DI AZIONI NON QUOTATE IN BORSA

Cassazione civile sez. II - Sentenza 29 agosto 1991, n. 9227 - Pres. Montanari Visco - Rel. Marotta - Fornieri c. Pascucci

con commento di Vincenzo Carbone

In tema di dolo, quale vizio della volontà, gli artifici ed i raggiri posti in essere da un contraente - idonei in concreto a trarre in inganno la controparte e tali che questa senza di essi non avrebbe stipulato il contratto - non cessano di essere causa di invalidazione del negozio solo perché il deceptus avrebbe potuto espletare una certa attività di verifica e di controllo per sventare l'errore; di conseguenza, in caso di vendita di partecipazione azionaria, qualora il venditore, con artifizi e raggiri, abbia celato alla controparte la reale situazione economica della società, è applicabile il generale rimedio dell'annullamento per dolo (I).

(Massima redazionale)

La Corte (omissis).

Con il primo motivo del ricorso, il Fornieri - denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 1439 codice civile, nonché mancanza e contraddittorietà di motivazione su un punto decisivo della controversia - censura la impugnata sentenza, per avere la Corte del merito ritenuto sussistente, nel comportamento da lui tenuto nel corso delle trattative per la conclusione del contratto de quo con il Pascucci, il dolo determinante di cui all'art. 1439 codice civile.

Il dolo causam dans, di cui alla norma suddetta, richiede - sostiene il ricorrente - l'impiego di artifici e raggiri idonei ad ingannare una persona di normale avvedutezza e tali che, senza di essi, il contraente, che ne resti vittima, non avrebbe stipulato il contratto. Ora, una siffatta situazione non si riscontrava nel caso di specie, perché il Pascucci, come qualunque persona di normale capacità e diligenza, aveva la possibilità di controllare le risultanze del bilancio della società, depositato per legge presso l'"ufficio del registro delle imprese", e, propriamente, presso la Cancelleria del Tribunale di Modena, ed avrebbe, quindi, potuto rilevare tutti i pretesi aspetti negativi della situazione patrimoniale della società, evidenziati nei documenti per legge depositati presso la Cancelleria del Tribunale di Modena.

Peraltro - continua il ricorrente, concludendo sul punto - era risultato che le azioni della società "Ceramica Ciminiera s.p.a." venivano normalmente vendute per prezzi analoghi e che, nel 1976, anno cui risaliva la vendita de qua, la società, anche se per l'intervento dei soci con l'aumento del capitale sociale, aveva registrato un saldo attivo.

Con il secondo motivo, il ricorrente - denunciando mancanza di motivazione su un punto fondamentale, privo peraltro di prova quanto alla sua sussistenza - censura ulteriormente la impugnata sentenza, per avere la Corte del merito attribuito alle azioni una valutazione negativa, mentre dagli atti non emergeva nessun elemento che consentisse una determinazione in tal senso con riferimento al momento della stipulazione del contratto.

Il preteso documento comprovante tale presunto valore - osserva il ricorrente - non era stato prodotto e, quindi, non se ne poteva conoscere il reale contenuto. Il consulente interpellato (rag. Silvestri), esperto nel settore, aveva consigliato il compratore sul presupposto degli elementi indicatigli, dei quali non era stato possibile effettuare il riscontro per la mancanza appunto del documento, e nel contempo aveva suggerito di fatto cautela circa un controllo della rispondenza ed effettiva esistenza dei dati riferiti. Ora, il Pascucci non aveva eseguito questo controllo e la Corte del merito, con la conclusione cui era pervenuta, aveva in definitiva accordato tutela alla parte negligente.

Con il terzo motivo, il ricorrente - denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 246 codice procedura civile - censura ancora la impugnata sentenza, per avere la Corte del merito ritenuto ammissibile la deposizione della moglie separata del Pascucci, pur avendo la stessa affermato che la somma, che il marito avesse realizzato in esito al giudizio, sarebbe stata divisa tra i due in parti uguali, ponendo così in evidenza la sussistenza di un suo interesse per la conclusione della causa in senso favorevole al marito.

E la circostanza, riferita dalla teste, della "immensa fiducia" nutrita dal Pascucci nei confronti di esso ricorrente - aggiunge il Fornieri - non risultava provata aliunde.

I motivi innanzi esposti esprimono censure connesse ed è, pertanto, opportuno esaminarli congiuntamente.

Essi non sono fondati.

Per quanto concerne la deposizione della moglie del Pascucci, va osservato che la relativa censura non ha alcun valore decisivo, nessuna circostanza o fatto ritenuti rilevanti ai fini della decisione essendo, nella impugnata sentenza, stati affermati con riferimento alla deposizione della teste suddetta: infatti, il sentimento di amicizia e di stima del Pascucci nei confronti del Fornieri, sul quale la Corte del merito asserisce che avevano operato i mezzi artificiosi posti in essere dal Fornieri, è affermato con riguardo alla deposizione del teste Silvestri.

Quanto agli elementi costitutivi del dolo, quale vizio della volontà e motivo di annullamento del contratto, essi sono stati dalla Corte del merito esattamente individuati ed indicati in un comportamento caratterizzato da raggiri maliziosi posti in essere da un contraente, idonei a trarre in inganno l'altra parte e tali da determinare quest'ultima a concludere il contratto, che, invece, senza di essi, non avrebbe stipulato.

L'accertamento della sussistenza di tali raggiri ed artifici e della loro idoneità a trarre in inganno la controparte costituisce, poi, un giudizio di fatto, che, se correttamente e congruamente motivato, si sottrae ad ogni sindacato in sede di legittimità.

E, nel caso in esame, ricorre proprio questa ipotesi.

La Corte del merito ha affermato che il raggiro posto in essere dal Fornieri era consistito nel fatto che il documento informale da lui rimesso al Pascucci (un prospetto contabile finanziario) conteneva una falsa rappresentazione dello stato economico finanziario della società, fatta apparire in crescita mentre si trovava in crisi da anni, come dimostravano le risultanze degli esercizi degli anni 1975, 1976 e 1977.

E che il documento, non prodotto, avesse un contenuto in tal senso è stato dalla Corte del merito desunto in particolare dalla deposizione del citato rag. Silvestri: essendo il prezzo richiesto per la vendita (lire 10.000.000) direttamente proporzionale al valore dei titoli (il 4% di un pacchetto azionario del valore complessivo di lire 250.000.000) e non profilandosi, di conseguenza, sotto tale profilo alcun utile diretto (dividendo), la utilità dell'affare, prospettata al Pascucci dal venditore e confermata dal rag. Silvestri sulla base del documento in discorso sottoposto al suo esame di esperto nel settore, doveva - ha argomentato la Corte del merito - essere stata evidentemente collegata ad una situazione di incremento produttivo, riflettentesi sulla quotazione dei titoli, rappresentata nel prospetto contabile finanziario, il quale, quindi, denotava, contrariamente al vero, una situazione economica in espansione.

Ora, contro questa argomentazione, pienamente valida sul piano logico, nulla, specificamente e particolarmente, oppone il ricorrente, il quale si è limitato ad osservare che il documento non era stato prodotto in atti e che, pertanto, mancava l'elemento di raffronto.

Ed immune da vizi logici e giuridici è, poi, il giudizio espresso al riguardo dalla Corte del merito, la quale ha ritenuto che la falsa rappresentazione di cui sopra costituisse un raggiro in concreto idoneo a trarre in inganno il Pascucci e a determinare il consenso dello stesso, che, peraltro, nutriva un sentimento di amicizia e di stima nei confronti del venditore Fornieri. In particolare, quanto alla possibilità di effettuare verifiche e controlli presso la Cancelleria del Tribunale di Modena, è giuridicamente corretta la considerazione della Corte del merito, la quale ha osservato che gli artifici ed i raggiri posti in essere da un contraente - idonei in concreto a trarre in inganno la controparte e tali che questa, senza di essi, non avrebbe stipulato il contratto - non cessano di essere causa sufficiente di invalidazione per dolo del negozio, solo perché il deceptus avrebbe potuto espletare una certa attività di verifica e di controllo per sventare l'errore, che, peraltro, nel caso di specie - ha precisato la Corte del merito - non avrebbe potuto essere neutralizzato da una avvedutezza normale, perché la natura particolare del contratto, delicata e complessa, travalicava la media diligenza (ed il rilievo del ricorrente, secondo cui il rag. Silvestri avrebbe suggerito di fatto cautela circa un controllo della rispondenza a verità dei dati riferiti, impinge in una decisa affermazione, di segno contrario, della Corte del merito, la quale ha osservato che "lo stesso rag. M. Silvestri non si preoccupò, pur avendone la possibilità, di controllare il bilancio, né di suggerirne la verifica").

Con il quarto motivo, il ricorrente - denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 1439 codice civile con riferimento all'art. 1440 stesso codice - censura ancora la impugnata sentenza, per avere la Corte del merito applicato, nel caso di specie, l'art. 1439 codice civile e non già l'art. 1440 dello stesso codice.

Ammessa pure (e non concessa) la sussistenza di raggiri, essi - sostiene il ricorrente - non erano stati tali da determinare il consenso dell'acquirente, il quale, dolendosi di aver pagato un prezzo eccessivo, implicitamente ma chiaramente ammetteva che, comunque, avrebbe pur sempre acquistato le azioni a condizioni diverse.

In una tale situazione - continua il ricorrente - non si doveva pronunciare l'annullamento del contratto, ma applicare l'art. 1440 codice civile, il quale stabilisce che, in una siffatta ipotesi, il contratto è valido ed il contraente in mala fede risponde ai danni.

Il motivo va disatteso.

Come emerge dagli atti e dalla sentenza impugnata, il Pascucci, con l'atto introduttivo del giudizio, ebbe a chiedere l'annullamento, per dolo o per errore, del contratto di compravendita di un gruppo di azioni della s.p.a. Ceramica Ciminiera stipulato con il Fornieri, ovvero la risoluzione dello stesso per mancanza nelle azioni delle qualità promesse, sulla premessa in fatto che egli si era determinato ad acquistare le azioni perché il venditore, suo vecchio amico, gli aveva prospettato l'utilità e la convenienza dell'investimento, rappresentandogli, anche documentalmente, come solida ed in espansione la situazione patrimoniale ed economica della detta società (che, invece, era in crisi da alcuni anni), ed il dibattito, nel giudizio di primo ed in quello di secondo grado, si è svolto appunto sul tema della sussistenza o meno della dedotta falsa rappresentazione della situazione economica e patrimoniale della società "Ceramica Ciminiera" all'epoca della vendita de qua e della idoneità in concreto di essa a trarre in inganno il Pascucci.

Tutto ciò quanto alla esattezza della interpretazione della domanda che la Corte del merito ha ritenuto essere stata effettivamente proposta dal Pascucci ed alla qualificazione giuridica della stessa.

Ma la censura in esame - che è, sì, incentrata sulla violazione e falsa applicazione dell'art. 1439 codice civile con riferimento all'art. 1440 stesso codice, ma che è basata sul presupposto che i raggiri, ammessane pure la sussistenza, non sarebbero comunque stati tali da determinare il consenso del Pascucci a concludere il contratto - urta contro un accertamento di fatto della Corte del merito - che, come si è detto innanzi, è immune da vizi sotto il profilo della motivazione - secondo cui la condotta ingannevole del Fornieri aveva agito ed operato come fattore determinante della volontà del Pascucci.

Con il quinto ed ultimo motivo, il ricorrente - denunciando "mancanza di motivazione e falsa applicazione degli artt. 1325 n. 2, 2023, 2350 ss. codice civile, ed, in subordine, dell'art. 1497, codice civile, mancanza di motivazione su un punto decisivo della controversia" - censura, infine, la impugnata sentenza, per avere la Corte del merito omesso di considerare che la compravendita di azioni ha per oggetto soltanto queste e che la causa del contratto ai sensi dell'art. 1325 n. 2, codice civile, è appunto il trasferimento di esse.

Il venditore - precisa il ricorrente - non è tenuto, in alcun modo, a rispondere della consistenza dei beni della società, in quanto il trasferimento delle azioni, costituente l'oggetto del contratto, importa semplicemente ed esclusivamente il trasferimento dei diritti inerenti alla qualità di socio e non anche di una quota del patrimonio sociale.

In tali casi - continua il ricorrente - se il venditore, su richiesta del compratore, dichiara la consistenza del patrimonio sociale e ne garantisce la rispondenza alla realtà, si potrebbe, al più, parlare di una promessa di specifica qualità delle azioni vendute, che è disciplinata dall'art. 1497, codice civile, con la decadenza e la prescrizione di cui all'art. 1495, codice civile.

Anche quest' ultimo motivo va disatteso.

Esso, infatti, introduce una questione assolutamente estranea alla decisione adottata e alla ratio della stessa.

La Corte del merito, con la sentenza impugnata confermativa di quella del Tribunale, ha pronunciato l'annullamento per dolo del contratto de quo ed il dolo, che è un vizio del consenso, costituisce un motivo di annullamento del contratto di carattere generale, applicabile anche ai contratti di compravendita di azioni.

Non pertinente, dunque, è il richiamo all'art. 1497 codice civile, il quale prevede un' azione che, assimilata per qualche aspetto a quella di garanzia per vizi della cosa venduta, si riconduce fondamentalmente alla disciplina ordinaria dell'inadempimento contrattuale, di cui agli artt. 145 ss. codice civile ed alla relativa azione.

Per tutte queste considerazioni, il ricorso va rigettato.

(omissis).

Commento

di Vincenzo Carbone

(I) L'annullamento della compravendita di azioni non quotate in borsa per vizio del consenso e precisamente per dolo a seguito delle inesatte o errate informazioni, si è proposto all'esame dei Giudici di legittimità, i quali l'hanno affrontato e risolto affermativamente, con la decisione in esame, che suscita perplessità sia in ordine all'identificazione degli estremi del dolo e cioè degli artifici e raggiri che abbiano celato l'effettiva situazione economica della società, sia per aver disciplinato un problema di eventuale responsabilità per omessa incompleta o inesatta informazione sui bilanci della società con le regole dell'annullamento per vizio del consenso.

Nella fattispecie Tizio acquista una partecipazione azionaria di 3080 azioni, pari al 4% dell'intero pacchetto azionario di una società per azioni per il prezzo di 10 milioni, indotto all'affare dalle affermazioni del venditore, suo vecchio amico, sulla solidità della società, confermate dall'esibizione di un documento contabile. Sennonché dopo qualche anno, consultato altro bilancio ed accortosi della grave crisi che affligge la società in forte passivo, chiede l'annullamento del contratto per dolo ed in subordine si duole che il pacchetto azionario acquistato non abbia le qualità promesse, nel senso che il prezzo pagato sia inferiore al valore del patrimonio della società cui si riferisce.

I Giudici di merito accolgono la domanda principale sotto il profilo del dolus malus determinante o causam dans, ritenendo che il venditore abbia determinato l'acquirente a comprare le azioni, per aver fatto risultare anche documentalmente, nonostante che la società versasse in crisi da anni, un' inesistente corrispondenza tra il valore del pacchetto azionario e quello dell'impresa sociale. La sussistenza dei raggiri idonei a trarre in inganno l'altra parte, è argomentata con la considerazione che in mancanza delle dichiarazioni dell'amico, il deceptus non si sarebbe mai determinato a concludere il contratto.

Il venditore soccombente si rivolge alla Cassazione, assumendo che sulla base dello stesso prezzo erano stati effettuati anche altri scambi di pacchetti azionari per cui il prezzo di vendita poteva ben considerarsi quello di mercato che per le s.p.a. non quotate in borsa equivale al prezzo di borsa con esclusione di ogni possibilità di errore o di dolo.

Aggiunge che una persona di media diligenza avrebbe potuto controllare in qualunque momento le effettive risultanze dei bilanci della società presso la cancelleria del Tribunale che funge da "registro delle imprese" e mette a disposizione di tutti quelle notizie di cui l'acquirente lamenta la mancata conoscenza, sottolineando il profilo dell'eventuale violazione del dovere di informazione che può comportare un risarcimento del danno, ma non l'annullamento del contratto.

I Giudici di legittimità, con la sentenza in esame, equiparando la vendita delle azioni a qualsiasi altro bene mobile - senza prendere in considerazione se la vendita sia avvenuta in Borsa, o fuori Borsa e tuttavia al normale prezzo di mercato - considerano raggiri le mere dichiarazioni favorevoli sulla situazione patrimoniale della società, trascurando completamente l'altro profilo della violazione del dovere di informazione.

In realtà i Giudici di merito hanno per lo più respinto l'annullamento per dolo della compravendita di azioni sotto il duplice profilo o del difetto probatorio degli artifici o raggiri o della inesistenza in concreto degli estremi dell'attività decettiva. Sotto quest' ultimo profilo il Tribunale di Milano ha recentemente escluso la configurabilità del dolo per aver taciuto circostanze emerse solo successivamente e per erronee indicazioni in un bilancio peraltro posteriore alla conclusione del contratto [1]. Più di mezzo secolo fa, lo stesso Tribunale di Milano [2] escluse che la vendita volontaria di azioni Breda dal Banco di Roma all'Isotta Fraschini con riferimento al prezzo di borsa potesse essere impugnata per dolo o per errore. Il rigetto dell'impugnazione fu determinato dal riferimento operato dalle parti alla quotazione di borsa, che sebbene diversa dal valore venale, eliminava sotto il profilo della determinazione del consenso sul prezzo ogni possibilità di dolo o di errore. In proposito va inoltre ricordata un'"antica" decisione della Corte di cassazione di Roma, prima dell'unificazione della cassazione civile la quale, di fronte alle "false affermazioni degli amministratori" che avevano formato dei bilanci "assolutamente fantastici", concesse ai soci acquirenti non l'annullamento della vendita delle azioni per dolo, ma solo il risarcimento del danno per aver "ingannato la pubblica fede" divenendo così l'antesignana dell'attuale disposizione contenuta nell'art. 2395, codice civile [3]. Sulle stesse posizioni negative anche la giurisprudenza arbitrale [4].

Di fronte ad una giurisprudenza che non nega l'ammissibilità teorica dell'impugnazione per vizio del consenso della vendita di un pacchetto azionario di una s.p.a. ma in pratica non utilizza questa prospettiva negando quasi sempre o sul piano probatorio o sul piano sostanziale la sussistenza del dolo, appare singolare la decisione in esame. I Giudici di legittimità, fortemente condizionati dal rapporto di fiducia e di amicizia tra le parti hanno ritenuto che le mere affermazioni del venditore sulla solidità della società corroborate dall'esibizione della copia informale del bilancio - peraltro non prodotta in giudizio ma conosciuta solo attraverso la disposizione del ragioniere che aveva assistito l'acquirente - possano costituire artifici e raggiri idonei ad indurre in errore e viziare il consenso, determinando l'annullamento del contratto ai sensi dell'art. 1439, codice civile, anche in presenza di negligenze inescusabili che finiscono con l'essere la vera causa dell'errore.

In altri termini le aspettative di fatto, la vantaggiosità dell'affare promessa all'amico che, fidandosi del legame fiduciario abbassa la guardia o rallenta la vigilanza, diventano artifici e raggiri, a nulla rilevando che una persona di normale diligenza (o lo stesso ragioniere che fungeva da consulente) avrebbe potuto facilmente controllare presso la cancelleria del Tribunale l'effettiva situazione economica della società.

La Cassazione, infatti, confermando la decisione dei Giudici di merito ritiene che la falsa rappresentazione dello stato economico e finanziario "non poteva essere neutralizzata da un' avvedutezza normale", in quanto la natura del contratto di vendita del pacchetto azionario "travalicava la media diligenza".

Anche in dottrina il tema della vendita delle azioni - costituenti l'unità di misura della partecipazione del socio alla vita della società per azioni, ma anche beni facilmente commerciabili, in quanto il socio è sia parte di un contratto (il contratto di società) sia al tempo stesso proprietario di un bene incorporato nell'azione [5] - si è per lo più sviluppato in ordine ai limiti legali o convenzionali che possono ostacolarne il trasferimento, come la presenza di clausole statutarie di gradimento o di prelazione [6]. è invece poco ricorrente l'impugnativa della singola vendita per vizio del consenso [7], o sotto il profilo della normale esclusione della garanzia per evizione nella vendita di azioni [8], mentre si è ritenuta sussistere la garanzia per la mancanza delle qualità promesse [9].

L'interesse sul contratto di vendita di azioni e più in generale dei titoli di credito esplose negli anni cinquanta sotto il profilo consensualistico o reale del contratto per l'ipotesi della vendita delle stesse azioni a più soggetti [10], nel senso che mentre la dottrina optò per circa un trentennio per la teoria bigiaviana della natura consensualistica e quindi per l'acquisto a titolo derivativo, di recente ha ripreso forza la tesi realistica dell'acquisto a titolo originario del titolo di credito [11]; mentre la giurisprudenza ha sempre rifiutato la tesi del contratto consensuale con effetti reali, mantenendosi fedele alla tesi dell'Ascarelli e preferendo costruire la vicenda sugli effetti obbligatori del contratto consensuale che impongono all'alienante di immettere l'acquirente nel possesso del titolo al fine di fargli acquistare la proprietà [12]. Oggi il problema è comunque superato, per i titoli quotati, a seguito della creazione della Monte titoli s.p.a. disciplinata con legge 19 giugno 1986, n. 289 [13] e regolamentata dalla Consob con delibera 29 agosto 1989, n. 4199 [14].

Un nuovo impulso al problema è venuto dall'approfondimento in generale dei rapporti tra annullamento per vizi del consenso e responsabilità per violazione degli obblighi di correttezza e buona fede [15] nel senso che comportamenti delle parti che prima non trovano altro rimedio che l'azione di annullamento oggi ricevono tutela più adeguata attraverso la responsabilità per inadempimento dell'obbligo di informazione protetto da una liabiliti rule [16] poiché ci si è accorti, esaminando il problema sotto una diversa angolazione che trattasi non tanto di vizio del consenso sebbene di violazione del dovere di informazione.

Alla stregua di queste considerazioni possono muoversi alla soluzione giurisprudenziale rilievi critici, sotto diversi profili. A cominciare dalla costruzione del dolo come vizio del contratto avendo la corte ritenuto sussistere gli estremi del dolus malus causam dans, senza neppure lasciarsi sfiorare dal dubbio se l'aver magnificato la situazione economica della società da parte del venditore integri soltanto gli estremi del dolus bonus, posto che sin dai tempi di Labeone si affermava che in pretio emptionis et venditionis naturaliter licet contrahentibus se circumvenire.

Inoltre la decisione della Cassazione non da conto delle attuali posizioni dottrinali tendenti a restringere il campo di operatività del dolo a tutto vantaggio dell'accresciuta rilevanza degli obblighi di informazioni nell'ambito dei doveri di lealtà e correttezza che, se violati, danno luogo al risarcimento dei danni per il loro inadempimento, ma non all'annullamento del contratto.

La verità è che il dolo sembra uno degli argomenti fissi ed immutabili su cui da tempo si è consolidato e stratificato ogni sapere giuridico. è in questi sensi per la mitizzazione delle "antiche regole" spinge anche la scarna lettera del codice. Ma il primo e vero problema da affrontare è se anche il dolo non abbia risentito dalle innegabili trasformazioni socio-economiche della società e se quindi il dolo per la compravendita di azioni sia da porre sullo stesso piano della truffa realizzata con la vendita di francobolli [17] o di un bene mobile falsamente dichiarato d'oro.

E non si tratta solo dei limiti del dolo omissivo dove è difficile trovare il punto di equilibrio tra dovere di informazione ed interesse a tacere, ma nello stesso confine tra dovere di informazione gravante sul deceptor e sull'onere di autoinformazione incombente sul deceptus. Si fa sempre più strada anche in giurisprudenza [18], la tesi secondo cui il dolo incidente non sussiste ove il deceptus avrebbe potuto conoscere l'effettiva circostanza da cui è stato tratto in inganno usando l'ordinaria diligenza. La rilevanza della condotta della vittima dell'inganno - nel silenzio dell'art. 1439, codice civile che non accenna né a scusabilità dell'errore, né alla posizione del deceptus - è ben presente nelle decisioni della Corte (anche se non ricordata dalla decisione in commento) ove si afferma che "per aversi dolo come causa di annullamento del contratto, l'adeguatezza dei mezzi - ad decipiendum alterum - va rapportata alla normale diligenza ed al normale buon senso di cui la controparte dev' essere fornita perché ne sia tutelabile l'affidamento e ciò in quanto la buona fede riceve protezione solo se non sia costituita da negligenza o da ignoranza" [19]. Alla stregua della sua stessa giurisprudenza la Cassazione prima di dichiarare l'annullabilità del contratto per la vendita di azioni (al prezzo effettivo di mercato) di una società ritenuta solida ma che tale non era avrebbe dovuto valutare se un risparmiatore-investitore che non si ferma ai libretti di piccolo risparmio o agli investimenti in titoli di stato ma acquista pacchetti azionari di società per azioni non quotati in borsa [20] avrebbe dovuto o potuto controllare in qualsiasi momento quei bilanci societari negativi, in base ai quali ritiene di essere stata raggirata sul valore delle azioni. Ed infatti il deceptus non può invocare l'inganno che non sia "grave e non smascherabile con una diligenza media" [21].

L'esclusione dell'annullamento del contratto per la compravendita delle azioni nell'ipotesi di circolazione volontaria o regolare [22] di questi titoli, è dimostrabile perché l'area del dolo nella società attuale si va restringendo in favore della rilevanza dell'inadempimento dei doveri di buona fede e correttezza. Ed infatti a parte la tesi restrittiva della rilevanza del dolo secondo cui il dolo è causam dans solo se anche l'errore provocato da dolo sia essenziale ai sensi dell'art. 1429, codice civile e non lo sarebbe l'errore sul valore economico della cosa acquistata a titolo oneroso [23], il giurista moderno deve tener presente che con l'affermazione anche nel diritto positivo di un obbligo generale di correttezza, il campo lasciato al dolo si è venuto restringendo [24] e non limitarsi a rilevare l'inconciliabilità tra dolo e obbligo di lealtà [25].

E' chiaro che il dolo costituiva il perno del precedente sistema in cui ad ognuna delle parti era consentito di magnificare esagerando le qualità del bene o di tacere circa l'esistenza di circostanze negative che l'altro contraente avrebbe avuto interesse ad apprendere, non conoscendo quell'ordinamento un dovere generale di informazione nell'ambito di una buona fede che oggi spazia dal momento precontrattuale (artt. 1337 e 1338, codice civile) all'esecuzione del contratto (art. 1375, codice civile), da principio generale delle obbligazioni (art. 1175, codice civile) a criterio di interpretazione del contratto (art. 1366, codice civile) ed a specifico obbligo di comportamento in pendenza della condizione (art. 1358, codice civile).

A riprova di quanto affermato basta pensare che a cavallo tra il vecchio e l'attuale ordinamento nel 1939 il Rubino [26], non riuscì a superare la concezione dell'"obbligo di non offrire informazioni non esatte" con la conseguenza che negato un dovere generale di informazione, l'esternazione di informazioni volutamente inesatte rientrò ancora una volta nell'ambito esclusivo del dolo.

Lo scenario è a distanza di mezzo secolo profondamente mutato, in quanto nell'attuale "diritto vivente" formatosi sia sul codice civile del 1942 che sulla successiva Costituzione del 1948, ed in particolare modo sull'art. 21, si è venuto riconoscendo un diritto all'informazione assicurato attraverso una pluralità di voci concorrenti con libero accesso alle fonti di informazione e con la rimozione di qualsiasi ostacolo alla libera circolazione di notizie e di idee [27], senza escludere anzi dando maggior forza agli obblighi di informazioni che l'ordinamento pone a carico di determinati soggetti privati specie in tema di società (cfr. art. 5, legge 7 giugno 1974, n. 216) [28]. Anzi a partire da questa legge e dall'istituzione della Consob il principio dell'esistenza di un obbligo di informazione rappresenta un pilastro centrale e qualificante della moderna vita di una società per azioni quotata in borsa [29]. E questo trend normativo in cui l'informazione societaria assume un ruolo sempre crescente continua fino alle recenti leggi sulle Sim [30], sull'insider trading [31], sulla trasparenza bancaria [32] nonché i recenti decreti legislativi di attuazione delle direttive comunitarie in materia societaria [33].

Non è questa però la sede per fare il punto sugli sviluppi del profilo pubblicistico dell'informazione societaria anche se innegabilmente questo aspetto introdotto per la tutela del risparmiatore-investitore non può non riflettersi, e positivamente, nei rapporti tra i privati [34]. Qui preme sottolineare che nel caso di specie, sottoposto al giudizio della Cassazione sussistevano tutti i presupposti di esigibilità dell'informazione, in quanto le parti per valutare la convenienza dell'affare dovevano conoscere o essere messe in grado di farlo quelle circostanze sulla solidità della società le cui azioni sono al centro dell'interesse, perché le informazioni sulla solidità, obiettivamente apprezzate rivestono importanza decisiva nell'economia generale del regolamento di interessi che ciascuna di esse aspirava a definire [35], anche perché se il prezzo è "figlio del mercato", delle circostanze, dell'utilità delle parti, del bisogno di vendere o della necessità di comprare [36], "l'informazione è l'antidoto dell'errore" e quindi anche del dolo, poiché dà luogo ad un duty of disclosure da osservare in favore della controparte [37].

In conclusione, la Corte di cassazione avrebbe dovuto, al di là di ogni giudizio sugli estremi del dolo, tener conto che l'attuale ordinamento già conosce un diritto-dovere di informazione che rientra nell'ambito di più vasti doveri di correttezza e buona fede la cui violazione non comporta l'invalidità del contratto ma dà luogo solo al risarcimento del danno.

Note:

1 Trib. Milano 17 aprile 1989, in Le Società n. 9, 1989, 939 con commento di Carnevali.

2 La sentenza dell'11 aprile 1935 è pubblicata in Banca borsa e tit. cred. 1936, II, 165 con nota di Nicolò, Vendita di azioni ed errore sul prezzo.

3 Cass. Roma 24 maggio 1912, in Foro it., 1912, I, 1059, con nota critica di Vivante, in Giur. it., 1912, I, 1, 703, con nota adesiva di De Feo, in Riv. dir. comm., 1912, II, 945, con nota critica di D'Amelio - che era stato l'estensore della decisione di merito cassata - e favorevole di Chironi. La decisione romana sia pure ad altri fini è tornata di moda: è ricordata da Busnelli, Itinerari europei nella "terra di nessuno tra contratto e fatto illecito": la responsabilità per informazioni inesatte, in Contratto e Impresa 1991, 556; Carnevali, La responsabilità civile degli amministratori per danno ai risparmiatori, ivi 1988, 84; Ferrarini, La responsabilità da prospetto, Milano, 1986, 150.

4 Lodo 19 ottobre 1981 in Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento, a cura di Bonelli e De Andrè, Milano 1990, 49.

5 Sulle azioni in generale, Cagnasso, Azioni di società, in Digesto delle discipline privatistiche, Sez. Commerciale, vol. II, Torino, 1987, 127.

6 Campobasso, Diritto commerciale, vol. 2, Torino, 1988, 224 ss.; da ultimo Meli, La clausola di prelazione negli statuti delle società per azioni, Napoli 1991.

7 Ai ricordati casi di Trib. Milano 17 aprile 1989 e 11 aprile 1935 cit., può aggiungersi App. Roma 21 luglio 1933, in Riv. dir. comm. 1935, II, 121 che ugualmente non pronunciò l'annullamento del contratto condannando l'alienante al risarcimento danni giustificato da dolus incidens.

8 App. Milano 5 luglio 1935 in Banca, borsa e tit. cred., 1937, II, 86 con nota di Pugliatti, Vendita di azioni e garanzia per evizione ed ora anche Trib. Milano 17 aprile 1989 cit.

9 Cass. 10 febbraio 1976, n. 338, in Giust. civ. 1976, I, 436 con nota critica di Schermi, Considerazioni sulla natura e sulla vendita dei titoli di credito astratti, dei titoli rappresentativi e dei titoli azionari, specie 455 ss.

10 Bigiavi, Il trasferimento dei titoli di credito, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1950, 1 ss.; Galgano, Mancata esecuzione del trasfert ed esercizio dei diritti sociali nel trasferimento per girata delle azioni nominative, in Riv. dir. civ. 1962, II, 401.

11 Galgano, La società per azioni, 2¼ ed., Padova 1988, 141; Id., Sulla circolazione dei titoli di credito, in Contratto e Impresa, 1987, 382 e ss.

12 Cass. 28 aprile 1981, n. 2558, in Giur. it., 1982, I, 1, 564 ed in Contratto e Impresa, 1987, 384.

13 Cfr. Oppo, Una svolta dei titoli di massa: il progetto Monte Titoli, in Riv. dir. civ., 1986, I, 15; Gualandi, Il Monte Titoli, Le operazioni, Milano, 1983.

14 In Corr. giur., n. 11, 1989, 1235 ss., con commento di P. Carbone, Due squilli di tromba per una nuova Monte Titoli.

15 Grisi, L'obbligo precontrattuale di informazione, Napoli 1990; Cendon e Gaudino, Il dolo nei contratti, nei I contratti in generale a cura di Alpa e Bessone, Torino 1991, vol. IV, 2, 683

16 Sulla distinzione tra liability rules e property rules, Calabresi e Melamed, Property Rules, Liability Rules, Inalienability: one view of the Cathedral, in 85 Harv. Law Rev. 1972, 1079, nonché nel volume collettaneo a cura di Alpa, Pulitini, Rodotà, Romani, Interpretazione giuridica ed analisi economica, Milano 1982, 145.

17 Cass. 10 dicembre 1986, n. 7322, in Corr. giur., n. 2, 1987, 208 con nota di Mariconda, Truffa e contrarietà del contratto a norme imperative.

18 Cfr. già Cass. 24 luglio 1976, n. 2961, in Giust. civ., Mass., 1976, 1256.

19 Così Cass. 6 febbraio 1982, n. 683, ivi, 1983, 258.

20 Sulle società per azioni quotate in borsa, Galgano, op. cit., 425.

21 Bigliazzi-Geri, Breccia, Busnelli e Natoli, Diritto civile, vol. I, 2, Torino 1986, 681; sulla diligenza media, già Formica, Dolo, in Riv. dir. civ., 1960, II, 240.

22 Martorano, Lineamenti generali dei titoli di credito, Napoli, 1979, 186.

23 Cass. 16 febbraio 1977, n. 721 in Giust. civ., Mass., 1977, 307. Per la tesi restrittiva, Galgano, Diritto civile e commerciale, vol. II, 1, Padova, 1990, 300; contra, per la rilevanza di qualsiasi errore dovuto al dolo Cendon, Gaudino, op. cit., 709; Bigliazzi-Geri, Breccia, Busnelli e Natoli, op. cit., 684; Bianca, Il contratto, Milano 1984, 626.

24 Così per il dolus bonus, Trabucchi, Dolo in Noviss. Dig., vol. VI, Torino 1960, 151.

25 Sacco, Il contratto, in Trattato di diritto civile italiano fondato da Vassalli, Torino 1975, 339.

26 La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, Milano, 1939, 178.

27 Corte cost. 14 luglio 1988, n. 826, in Corr. giur. n. 9, 1988, 913.

28 L'art. 5, legge n. 216/1974, ha subito di recente alcune modifiche, con l'emanazione del D.Lgs. n. 90/1992, in G.U. 14 febbraio 1992, n. 37 - Suppl. ord. n. 27, e successivamente con la recente legge 18 febbraio 1992, n. 149, sulle Opa, in Le Società n. 5, 1992, 708.

29 Nel venticinquennale della Rivista delle società si tenne a Venezia un noto convegno proprio sull'informazione societaria i cui atti sono raccolti nei due volumi collettanei su L'informazione societaria, Milano 1982.

30 Legge 1° gennaio 1991, n. 1, pubblicata in Le Società n. 5, 1991, 687.

31 Legge 17 maggio 1991 n. 154, pubblicata ivi n. 7, 1991, 1001

32 La legge 17 febbraio 1992, n. 154, in Corr. giur. n. 5, 1992, 475.

33 Cfr. G.U. 14 febbraio 1992, n. 37 - Suppl. ord. n. 27.

34 G. Rossi, L'informazione societaria al bivio, in Riv. soc., 1986, 1083.

35 Cfr. Grisi, op. cit., 83.

36 Iudica, Sul prezzo della vendita delle partecipazioni azionarie, in Riv. soc., 1991, 750 e ss.; su queste posizioni si trovano ampi riscontri anche in autori come Kronmann, Errore e informazione nell'analisi economica del diritto contrattuale, in Pol. dir., 1980, 291 ed ora anche in Interpretazione giuridica ed analisi economica, cit., 332.

37 Sul punto, Villa, Errore riconosciuto, annullamento del contratto e incentivi alla ricerca di informazioni, in Quadrim., 1988, 288; ma già Bessone, Unilateral mistake e teoria del contratto nell'esperienza nord-americana, in Saggi di diritto civile, Milano 1979, 79.