Trib. di Verona 09-10-1992 - Pres. Abate - Est. Platania - Efibanca s.p.a. c. Facit Leasing s.p.a.

 

Il Tribunale (omissis ...).

La prima (e per molti aspetti assorbente) questione è costituita dalla ammissibilità della revoca dei voti (negativi) espressi da due creditori in adunanza.

Vale in proposito la pena di ribadire che all'adunanza dell'11 maggio 1992 sono pervenuti voti negativi per lire 21.481 milioni ovvero per cifra che rappresentava ben più del terzo dei complessivi crediti ammessi al voto.

Successivamente nei venti giorni successivi all'adunanza alcuni creditori hanno revocato il voto negativo espresso in adunanza portando le adesioni complessive a cifra superiore ai 2/3 del totale dei crediti ammessi al voto.

è noto che la Cassazione in tempi recenti è intervenuta con due opposte pronunce (Cass. 7 agosto 1989, n. 3618 in Il fallimento 1990, 33 e Cass. 22 settembre 1990, n. 9561, ivi, 1991, 258 e Giust. civ. 1991, I, 621) dopo che la giurisprudenza di merito si era in prevalenza pronunciata per la inammissibilità della revoca.

Secondo quanto statuito dalla Suprema Corte con la decisione 3618/89 la revoca del voto contrario espresso dal creditore in sede di adunanza risulta ammissibile essendo il voto atto processuale, revocabile in difetto di specifiche limitazioni o preclusioni.

Tale impostazione è stata fatta dichiaratamente propria dalla difesa della Facit Leasing s.p.a. la quale ha individuato nel sistema della legge fallimentare soltanto due preclusioni rappresentate:

a) dal divieto di tenere in considerazione le adesioni successive se all'adunanza non è stata raggiunta la maggioranza numerica dei creditori votanti;

b) dal divieto di tenere in considerazione i voti favorevoli pervenuti dopo la scadenza del termine di venti giorni dalla (chiusura dell') adunanza.

Secondo la sentenza 9651/90, il voto negativo del creditore, espresso in adunanza non assume i caratteri di una condotta neutra irrilevante ai fini della prosecuzione della procedura atteso che i quorum deliberativi sono determinati con riferimento proprio ai creditori effettivamente votanti. Poiché, pertanto, il voto, ancorché negativo, risulta rilevante ai fini del passaggio della procedura dalla fase di approvazione dei creditori a quella della approvazione da parte del Tribunale, non può ritenersi che il creditore possa mutare (dopo la chiusura del verbale dell'adunanza) il suo voto pena il rischio che il creditore possa ottenere con il suo solo atteggiamento risultati opposti.

Ad avviso del Collegio (che precisa che le decisioni riportate dalla Corte di Cassazione non sembrano pienamente attagliarsi alla fattispecie portata al suo esame) il sistema delineato dalla legge fallimentare dagli artt. 177 e 178 in tema di concordato preventivo permette di ritenere che accanto alle preclusioni in precedenza descritte se ne aggiunga un'altra rappresentata dal divieto di tenere in qualunque considerazione le adesioni successive all'adunanza (sia costituenti revoca di voti negativi - sia originarie) pervenute dopo che nell'adunanza stessa i voti negativi abbiano rappresentato una quota superiore al terzo dei crediti ammessi.

L'ultimo comma dell'art. 178 legge fallimentare deve infatti essere letto nel senso che la valutazione delle adesioni può essere utilmente effettuata solo a condizione che sia stata raggiunta la maggioranza numerica dei votanti e che i voti negativi non abbiano raggiunto il terzo dei creditori complessivamente ammessi al voto.

Tale lettura dell'art. 178 legge fallimentare risulta agevole ove si consideri che la valutabilità dei voti espressi nei venti giorni successivi alla chiusura è subordinata oltre che (al raggiungimento della maggioranza numerica) alla circostanza che i voti favorevoli non abbiano raggiunto i due terzi della totalità dei crediti. Invero, se i voti positivi hanno già raggiunto i due terzi della totalità dei crediti ammessi al voto ai sensi dell'art. 177 legge fallimentare la proposta di concordato deve ritenersi già approvata e quindi risulta inutile attendere l' esito delle ulteriori adesioni.

Ma se ciò è vero deve ritenersi altrettanto vero che qualora sia stato raggiunto il quorum di un terzo di voti negativi (di cui al primo comma art. 177 legge fallimentare) ugualmente non possono essere valutate le adesioni tardive (e quindi anche le revoche) perché oramai inutili ai fini dell'approvazione del concordato.

Ad avviso del collegio il primo comma dell'art. 177 legge fallimentare che fissa le maggioranze necessarie per ritenere approvata la proposta concordataria può essere letto, specularmente, anche nel senso che la proposta concordataria non deve ritenersi approvata qualora sia stata rifiutata da tanti creditori che rappresentino un terzo della totalità dei crediti ammessi al voto.

Una analoga lettura speculare dell'art. 178 legge fallimentare porta a ritenere irrilevanti le adesioni pervenute successivamente alla adunanza qualora la proposta concordataria in adunanza sia stata disapprovata dai creditori rappresentanti un terzo della totalità di quelli ammessi al voto.

Il sistema delineato dall'ultimo comma dell'art. 178 legge fallimentare dimostra invero la volontà del legislatore di consentire la valutabilità delle adesioni successive alla adunanza solo alla condizione (ulteriore e diversa da quella ipotizzata in via generale dell'art. 1771 primo comma) che si verifichi il raggiungimento della maggioranza numerica nella adunanza.

Tale circostanza che porta ad escludere che tutta - indistintamente - la procedura del concordato sia assistita da un favor legislativo particolare, e che dimostra che il mancato raggiungimento delle maggioranze in adunanza può portare al prolungamento della procedura solo a condizione che sia stata già raggiunta in adunanza una delle condizioni previste dall'art. 177, primo comma, legge fallimentare porta alla ulteriore conseguenza di escludere che possa utilmente procedersi alla valutazione delle adesioni successive qualora già in adunanza siano state raggiunte le condizioni volute dall'art. 177 legge fallimentare per ritenere non approvato il concordato.

Devesi quindi ribadire che un'attenta e rigorosa lettura dell'ultimo comma art. 178 legge fallimentare porta a ritenere che la valutabilità delle adesioni successive è possibile solo quando la procedura dopo l'adunanza (e per effetto della votazione in essa manifestata) viene a trovarsi in una sorta di attesa in cui l' esito è ancora incerto per non essere state raggiunte tutte le condizioni che a' sensi dell'art. 177,§primo comma, legge fallimentare permettono di ritenere la proposta approvata ovvero respinta.

Ma se la proposta ha già ricevuto in adunanza voti negativi sufficienti a farla ritenere respinta (ex art. 177, primo comma, legge fallimentare) non può sussistere motivo alcuno per prolungare la procedura.

Naturalmente per completezza possono essere richiamati gli argomenti espressi dalla dottrina e dalla giurisprudenza a sostegno della tesi della irretrattabilità del voto negativo ed in particolare il divieto per il creditore di esprimere nella procedura due diversi voti nonché quello, fatto proprio dalla più recente decisione sul punto della Cassazione circa il fatto che il computo della maggiorazione delle somme non può discostarsi da risultati accertati nel computo delle maggioranze di numero.

Le considerazioni che precedono impongono ovviamente di respingere, per il solo fatto che in adunanza la proposta non ha raggiunto la maggioranza di cui all'art. 177, primo comma, la proposta concordataria.

Naturalmente è appena il caso di rammentare che a' sensi dell'art. 184 n.§2 il Tribunale è investito della valutazione della ritualità di tutta la procedura non potendo trovare ostacolo in provvedimenti del giudice delegato e che nella specie proprio il giudice delegato aveva sollevato la questione della revocabilità del voto nel provvedimento del 2 giugno 1992.

(Così espressamente del resto Cass. 22 settembre 1990, n. 9651 in motivazione).

Per doverosa completezza il Tribunale ritiene comunque di affrontare sia pure brevemente anche altre questioni sollevate dalle parti.

Circa l'ammissione al voto dei creditori cessionari è sufficiente sottolineare che (a prescindere dall'orientamento favorevole pure espresso dalla Corte di Cassazione - Cass. 5 novembre 1980, n. 5943) i creditori muniti di prelazione ben possono votare nella procedura di omologazione del concordato salvo perdere il diritto alla prelazione stessa.

Nulla esclude quindi che i creditori votino in assemblea e che pertanto le maggioranze numeriche e quantitative siano calcolate anche con riferimento ai voti espressi dai creditori cessionari (sempre che gli stessi come pure non pare, possono essere considerati privilegiati).

Più complessa appare la questione sollevata dalla difesa della opponente Efibanca circa il momento temporale al quale fare riferimento per la determinazione dell'ammontare dei crediti dei soggetti ammessi al voto.

Nella procedura de qua, a seguito del pagamento da parte dei debitori ceduti nelle more del processo di omologazione di parte della loro esposizione, si è verificato l'anomalo fenomeno della progressiva riduzione dell'esposizione della Facit Leasing spa verso alcuni creditori.

Tale situazione, da considerarsi del tutto eccezionale ai sensi dell'art. 167 legge fallimentare, è però logica conseguenza degli atti di cessione dei crediti posti in essere dal debitore prima della ammissione alla procedura concordataria.

Motivi tecnici derivanti dalla difficoltà di acquisire in tempo reale elementi certi circa il pagamento delle numerosissime cessioni (per un ammontare di oltre 15.808 milioni) ha suggerito di individuare la posizione creditoria alla data della domanda di ammissione alla procedura del concordato.

Ovviamente il Tribunale non ignora che secondo altra autorità giudiziaria (Trib. Torino 30 gennaio 1986, in Il fallimento 1986 pag. 1008) il computo dei voti ai fini dell'approvazione del concordato preventivo da parte dei creditori deve effettuarsi con riferimento alla posizione debitoria esistente al momento della scadenza del termine utile per l' invio delle adesioni all'adunanza dei creditori.

Tuttavia nel caso di specie poiché tutti i creditori cessionari hanno espresso voto favorevole all'omologazione del concordato (ed i creditori che hanno votato negativamente e quelli che hanno revocato il voto non sono cessionari) la data di riferimento è irrilevante perché anche a considerare, come è avvenuto, l'entità dei crediti alla data del 6 settembre 1991 e non a quella dell'adunanza, l' entità dei voti negativi supera quella del terzo previsto dall'art. 177 primo comma sicché, qualora si dovessero considerare anche le riduzioni dei crediti il concordato risulterebbe disapprovato da creditori rappresentanti ben oltre la quota già valutata (e superiore al terzo di cui all'art. 177 legge fallimentare) (vedasi comunque prospetto allegato alla comparsa di risposta della Facit Leasing spa nel giudizio di opposizione da cui si evince che il voto favorevole è stato espresso da tutti i creditori cessionari indicati nell'allegato 3 della relazione del Commissario).

Sempre per doverosa completezza si ritiene di dovere affrontare anche gli aspetti relativi alla convenienza e meritevolezza.

Quanto alla convenienza economica il Tribunale non può non richiamare le puntuali osservazioni del commissario.

Si deve però osservare che parte (anche significativa) del vantaggio derivante dalla parziale postergazione dei creditori cessionari e della rinuncia al credito da parte della Banca di Trento e Bolzano può essere recuperato in procedura fallimentare dal possibile fruttuoso esperimento di azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori della società succedutisi nel tempo.

Da ultimo mette conto di valutare la questione relativa alla valutazione della meritevolezza della Facit Leasing spa, ai fini dell'omologazione della proposta concordataria.

Premesso che il Tribunale fa propria l'opinione assolutamente prevalente in giurisprudenza circa la rilevanza del requisito della meritevolezza anche in relazione alla procedura di concordato di imprese costituite sotto forma societaria, si deve ritenere che i comportamenti degli amministratori nel caso di specie ben possono essere imputati direttamente alla assemblea dei soci e quindi alla società.

In particolare va rammentato che socio unico della Facit Leasing spa risulta essere a far tempo dal 1988 la Facit Holding spa il cui organo amministrativo è stato formato per la quasi totalità dagli stessi amministratori della Facit Leasing.

In tale situazione di strettissimo collegamento tra la società controllante, (Facit Holding spa) società controllata (Facit Leasing) e organi amministrativi delle due società, non può non ravvisarsi un diretto coinvolgimento della assemblea della società socia nei comportamenti della compagine amministrativa.

In particolare, come puntualmente sottolineato dal commissario, all'organo amministrativo (e quindi alla assemblea della società e conseguentemente alla società) possono essere imputati diversi episodi significativi di una gestione certamente non improntata a criteri di prudenza e correttezza.

Infatti la costante evidenziazione di risultati di bilancio positivi nonostante gli inequivoci e reiterati avvertimenti della società di revisione; la conseguente distribuzione di utili (che dovevano ritenersi almeno in gran parte fittizi) alla socia Facit Holding spa; la volontà di politica gestionale di espandere gli impieghi anche a costo di non valutare adeguatamente i rischi connessi all'affidamento di soggetti di non sicura solvibilità (da cui è derivata una notevolissima serie di insoluti anche per rilevantissimi importi): mostrano una conduzione della società frutto non già di scelte discrezionali ardite (ma lecite) del gruppo dirigente ma della volontà anche e soprattutto della socia Facit Holding di presentarsi nelle trattative con il possibile (ed ad un certo punto quasi sicuro) acquirente delle azioni della Facit Leasing spa nelle condizioni più favorevoli possibili prospettando utili ingenti ed impieghi in tumultuosa ascesa.

Poiché quindi i vantaggi conseguibili dalla descritta gestione del gruppo dirigente della Facit Leasing spa avrebbero finito per ricadere direttamente sulla socia Facit Holding spa (che avrebbe potuto conseguire un rilevante utile dalla vendita di tutto o parte il pacchetto azionario della Facit Leasing spa) e considerato che per la stretta connessione soggettiva evidenziata tra gruppo dirigente della Facit Holding spa e Facit Leasing spa non potevano ritenersi ignote alla socia Facit Holding le scelte gestionali della Facit Leasing (il bilancio della quale è stato regolarmente approvato per gli anni 88 e 89 dalla assemblea con il voto unico proprio della Facit Holding), resta evidente che alla società Facit Leasing è pienamente imputabile il comportamento, altamente censurabile, del suo gruppo dirigente.

Conclusivamente così come ritenuto dal Commissario non può ritenersi la società Facit Leasing spa meritevole del beneficio del concordato.

(omissis ...).