Decisione Commissione tributaria di I grado Verona, sez. IV, 28-02-1996, n. 64
Pres. Schinaia - Rel. Signorini
Società estera con stabile organizzazione. Società estera. Attività svolte nel territorio nazionale mediante stabile organizzazione. Nozione. Requisito.
Fatto - Con tre distinti ricorsi, all'odierna udienza riuniti, la società ricorrente eccepiva, in via preliminare la carenza di soggettività passiva, in via principale la violazione o l'errata applicazione di norme di legge, ed in via subordinata, nel merito, un'inattendibile e sproporzionata determinazione del reddito.
Resisteva l'ufficio richiamando gli esiti dell'indagine eseguita dalla Guardia di finanza su autorizzazione della Procura della Repubblica, che aveva autorizzato l'utilizzazione dei dati raccolti ai fini fiscali, e ribadendo l'inesistenza delle violazioni di legge e la fondatezza dell'accertamento.
Diritto - L'esistenza di un soggetto estero come la X L., con sede legale a Derby House - Douglas, Isle of Man, Gran Bretagna, sede operativa in Svizzera e, secondo l'ufficio con "sede effettiva in Verona presso la sede della Y srl" si spiega, nell'ambito dell'illecito programma ideato o, quantomeno, organizzato e massicciamente attuato dal Sig. Z, con la necessità di disporre, all'estero, di un soggetto in grado di operare in esenzione o agevolazione d'imposta e di assolvere alla funzione di accaparrare sui mercati esteri prodotti non ferrosi da cedere, in Italia, alle cosiddette ditte fantasma, appositamente predisposte dall'organizzazione "contrabbandiera" di cui il Sig. Z era l'ideatore o quanto meno, assieme ai suoi partners nazionali ed esteri, uno dei maggiori artefici ed organizzatori.
Ed invero, come accertato dalla Guardia di finanza, le cosiddette aziende fantasma importavano in esenzione grazie a false dichiarazioni di intento e poi cedevano i prodotti alle cosiddette aziende filtro, cui praticavano prezzi concorrenziali e particolarmente convenienti confidando proprio sul fatto che non avrebbero versato l'Iva relativa alle suddette operazioni.
Le aziende filtro, a loro volta, sempre secondo gli accertamenti della Guardia di finanza, acquistavano con fatture da cui risultava, contrariamente al vero, pagata l'Iva. Ciò consentiva loro di rivendere a prezzo pieno e con l'Iva alle aziende destinatarie, di fare apparire in parità l'Iva riscossa con l'Iva apparentemente pagata e, quindi, in definitiva di lucrare l'Iva.
Tale operazione, come dimostrato dalla Guardia di finanza, veniva a volte ripetuta: nel senso che la merce risultava nuovamente venduta verso l'estero o comunque esportata alla X L. o ad altre aziende interposte e poi, con le modalità sopra descritte, nuovamente importata in Italia.
Ciò consentiva, rivendendo all'estero in esenzione di Iva ed allo stesso prezzo di acquisto di non presentare ricavi da dichiarare ma sempre di lucrare, con le modalità sopra indicate, l'Iva.
I proventi di tali operazioni venivano poi accreditati, detratte le "quote" per i vari e diversi compartecipi, su conto corrente estero intestato alla X L.
Da tali premesse derivano necessariamente alcune considerazioni:
- il "traffico" scoperto dalla Guardia di finanza serviva proprio a consentire l'introduzione sul territorio dello Stato di ingenti quantitativi di metalli in evasione dell'Iva, la possibilità, per le aziende "del giro", di disporre di tali metalli a prezzi molto vantaggiosi, di lucrare sull'Iva, di apparire fiscalmente regolari e di costituire all'estero notevoli disponibilità patrimoniali;
- il Sig. Z era uno degli artefici oltre che dei beneficiari di tali operazioni di contrabbando ed era sicuramente, anche alla luce di quanto riferito nel processo verbale di constatazione del 22-2-1995, il dominus o l'amministratore di fatto della X L.;
- non v'è dubbio che egli agisse in Italia e si avvalesse, per le sue operazioni, come sopra descritte, della struttura organizzativa e di mezzi di cui disponeva in qualità di titolare della Y srl
Il tema della decisione, a questo punto, è il seguente: la X L., oltre a costituire un partner estero del Sig. Z e delle sue aziende, necessario a consentire il "giro" che si è visto, era anche un soggetto dotato di una propria personalità giuridica e di una propria struttura organizzativa composta di personale e di mezzi, ovvero si deve dedurre che costituiva il "vestito estero" della stessa Y srl, e cioè un mero e necessario fantoccio cui si dava vita ed operatività direttamente da Verona e cioè mediante le strutture, le direttive, il personale ed i mezzi della Y srl ?
E per converso la X L., aveva una propria "realtà economico- aziendale" anche in Italia, nel senso cioè che svolgeva attività anche sul nostro territorio mediante una propria stabile struttura operativa ovvero altro non era che un partner estero le cui attività si esaurivano da e verso l' Italia, ma comunque sempre in territorio estero?
I temi sopra accennati vanno risolti sia in punto di fatto che in punto di diritto.
Sotto il primo profilo non c'è dubbio che i rilievi formulati dalla Guardia di finanza e sinteticamente riassunti negli undici punti indicati a pag. 33 del processo verbale inducono a ritenere che gran parte delle attività la cui paternità appare ascrivibile alla X L. veniva in realtà posta in essere a Verona nella sede della Y srl, direttamente da questi o da persone dallo stesso incaricate.
Ma tale constatazione, lungi dal rappresentare una stabile organizzazione del soggetto estero in Italia denota, più propriamente una realtà inversa.
Ed invero nel caso in esame appare più appropriato dire che il Sig. Z ha creato all'estero un altro soggetto in grado di svolgere determinate attività ritenute utili alla riuscita del suo programma, e non che il soggetto estero si sia dotato in Italia di una stabile organizzazione.
A tale proposito la difesa del contribuente argomenta, con notevole incisività, che nessuna necessità avrebbe potuto spingere il Sig. Z a costituire in Italia una stabile organizzazione soggetta ad imposte quando disponeva di un'impresa all'estero che, come si è visto, poteva operare al di fuori da imposizioni fiscali.
Sotto il profilo giuridico, poi, non v'è dubbio che, a mente dell'art. 87, lettera d), del DPR 22-12-1986, n. 917, sono soggetti di imposta sul reddito delle persone giuridiche le società e gli enti di ogni tipo, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato; e che, a mente dell' art. 20, lettera e), dello stesso decreto presidenziale, si considerano prodotti nel territorio dello Stato i redditi di imprese non residenti derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato mediante stabili organizzazioni.
Devono quindi ricorrere tre condizioni: soggetto non residente; attività esercitata nel territorio dello Stato; stabile organizzazione.
La prima condizione pacificamente sussiste, ma le altre no.
Ed invero, se il ruolo attribuito al soggetto estero è quello di esportare verso l'Italia e poi reimportare (per le ragioni di evasione più volte ricordate) può dirsi che la sua sia un'attività esercitata sul territorio dello Stato? Sicuramente no.
Per quanto attiene poi alla definizione di stabile organizzazione va detto che la dottrina e la giurisprudenza prevalente l'identificano in un quid facti che deve essere riscontrato caso per caso, esaminando la struttura, il personale ed i beni con cui l'impresa non residente esercita l'attività in Italia (R. Lupi, Diritto tributario, pag. 188: la stabile organizzazione è un insieme di beni e di personale della stessa casa madre, caratterizzato solo per la localizzazione nel territorio italiano. Ad esempio gli uffici delle compagnie di navigazione aerea estere e gli sportelli di istituti bancari esteri).
Si deve trattare, quindi, di personale e di strutture che il soggetto estero crei in Italia in modo da potere esercitare stabilmente in Italia una certa propria attività. Ed anche in questo caso deve escludersi che ricorrano queste condizioni.
La X L. agiva, in definitiva, operando estero su estero ed aveva sicuramente in Italia partners, clienti e "soci" ma non certo una propria sede, né una propria attività e tanto meno una stabile struttura.
Operava in un cosiddetto paradiso fiscale in un certo qual modo "riconosciuto" dal nostro legislatore che, per evidenti scopi antielusivi, ha sancito, nel testo unico, DPR n. 917/1986, il mancato riconoscimento in deduzione delle spese derivanti da operazioni intercorse tra soggetti residenti e soggetti domiciliati in tali "paradisi fiscali". Ma il caso di specie esula da tale profilo ed alla Commissione sfugge se la Y srl abbia esposto in deduzione costi non ammessi ai sensi del citato testo unico.
Dovendosi, pertanto, accogliere i ricorsi riuniti per il primo ed assorbente motivo di doglianza, ultroneo diventa soffermarsi sugli altri motivi.