Cass. civile, sez. I, 30-01-1998, n. 970 - Pres. Baldassarre V - Rel. Losavio G - P.M. Lo Cascio G (Diff.) - Banca Commerciale Italiana c. Sicmu S.a.s.
La Corte (omissis...)
Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione degli artt. 1842, 1843, 2697, 1322 e 1362 codice civile; 113 codice di procedura civile (anche con riferimento al n. 5 dell'art. 360 codice di procedura civile), lamentando che la Corte di merito abbia ritenuto non provato che "le linee di credito relative alla negoziazione di tratte, di foglio commerciale e, analogamente, le linee di credito concesse per l'esportazione costituissero vere e proprie aperture di credito aventi le caratteristiche indicate dagli artt. 1842 e 1843 codice civile". Rileva innanzi tutto la ricorrente che al tempo in cui ha avuto svolgimento il complesso rapporto il contratto di apertura di credito ben poteva essere stipulato verbalmente e per altro la produzione di copia autentica delle deliberazioni della banca e del libro fidi che documenta i singoli affidamenti integra la prova scritta al riguardo che, se non fosse stata giudicata sufficiente, sarebbe potuta essere integrata dalla offerta prova testimoniale "ammessa in ogni caso" a norma dell'art. 2724, n. 1, codice civile (in presenza di un principio di prova per iscritto). Infine l'affermazione della sentenza che le linee di credito documentate nel libro-fidi recherebbero la scadenza a giugno-luglio 1980 (in tempo perciò precedente alla attivazione dei rapporti qui in discussione) segnalerebbe la disinformazione della Corte di merito in ordine alla prassi bancaria, giacché le aperture di credito sono di regola concesse a tempo indeterminato e la relativa scadenza annotata nel libro-fidi (sigla I) ha significato interno, indicando il momento in cui la banca riesaminerà il rapporto (in funzione di una eventuale revoca).
Ebbene, il motivo così formulato censura innanzitutto la decisione impugnata là dove ha pregiudizialmente negato che le linee di credito "relative alla negoziazione di tratte e di foglio commerciale" e per anticipazioni sull'esportazione, così come prospettate dalla stessa banca - e per altro corrispondenti a modelli largamente invalsi nella prassi bancaria -, siano assoggettabili alla disciplina di cui agli artt. 1842, 1843 e 1852 codice civile e perciò ha escluso che gli affidamenti concessi su tali "linee" assicurino al cliente, così come nella tipica "apertura di credito bancario", la immediata disponibilità della somma di denaro corrispondente, utilizzabile in più volte e ripristinabile con successivi versamenti.
Il motivo è infondato. Se è vero che la proposizione, negativa al riguardo, della sentenza impugnata non sviluppa argomenti analitici, essa è tuttavia aderente al modello normativo della tipica apertura di credito, al quale per certo non possono essere ricondotte le linee di credito come descritte dalla difesa della Banca Commerciale Italiana nei capitoli della prova per testimoni riproposta in appello (e ripresa nelle conclusioni riportate in premessa della sentenza impugnata): si tratti infatti di negozi atipici che condividono con quello di "castelletto di sconto" (al quale i giudici di appello hanno fatto dunque appropriato riferimento) la funzione economica di finanziamento su crediti, come anticipazione sulla garanzia - impropria - di documenti commerciali e che nella prassi bancaria si suole definire quali "fidi per smobilizzo crediti". Su tali negozi atipici ha avuto occasione di pronunciarsi questa Corte di legittimità con numerose decisioni - e in particolare con la recente n. 1083 del 1997 - nelle quali ne ha fissato la differenza rispetto alla tipica apertura di credito regolata in conto corrente, dove il correntista può disporre "in qualsiasi momento" delle somme risultanti a suo credito, ha cioè la immediata disponibilità della somma oggetto del "fido" e, quando abbia utilizzato il finanziamento concessogli, con successivi versamenti può ripristinare la provvista in funzione di nuovi utilizzi. Sicché tali versamenti mantengono attiva nel tempo la linea di credito nei limiti dell'affidamento e nello sviluppo fisiologico del rapporto non corrispondono a un debito scaduto - non hanno perciò natura solutoria - tale essendo soltanto, a conclusione del rapporto, l' eventuale saldo debitore.
Ma se, nel corso del rapporto, il correntista abbia "sconfinato" dal limite di affidamento, le rimesse corrispondenti, come pagamento di un debito liquido ed esigibile, si espongono alla eventuale revocatoria a norma dell'art. 67, secondo comma, legge fallimentare. Lo stesso meccanismo funzionale, se così si può dire, non è ravvisabile invece nei negozi che regolano le operazioni, di diversa natura, di finanziamento su crediti e fissano il c.d. fido e cioè il limite di importo complessivo entro il quale la banca si impegna a far credito al cliente attraverso lo sconto di titoli o con "anticipazioni" sulla garanzia impropria di documenti commerciali. Comune a tali negozi è la caratteristica che da essi non deriva - elemento essenziale nel contratto di cui all'art. 1842 codice civile - l'immediata messa a disposizione del cliente di una risorsa finanziaria, che è invece differita al momento in cui si concretizzeranno le specifiche concessioni di credito (sconto o anticipazioni) cui la banca è tenuta quando i documenti presentati, secondo una valutazione di buona fede, si presentino obbiettivamente come bancabili. Se pur può parlarsi al riguardo di simili negozi (sulla cui natura è aperto il dibattito in dottrina: contratti normativi, o preliminari, ovvero atipici) di "fido" o "affidamento", l'espressione tuttavia non coincide con la stessa impiegata per indicare la provvista della apertura di credito in conto corrente (e cioè la somma di denaro immediatamente disponibile per il cliente).
Già si è detto, infatti, che il fido "di castelletto" o "per smobilizzo crediti" segna il limite di massimo importo entro il quale la banca è impegnata ad eseguire, alle condizioni convenute, le singole operazioni di credito; né può parlarsi al riguardo di ricostituzione della provvista se non nel senso che, compiuta la singola erogazione di credito, la disponibilità della banca per nuove analoghe operazioni si riduce del corrispondente importo e si ripristina con il buon fine, la riscossione, del credito ceduto o oggetto del mandato all'incasso. Sicché quando siano state attivate, come nella specie, più linee di credito, l'una per apertura di credito regolata in conto corrente, le altre per "smobilizzo crediti", il "fido" della prima e l'affidamento delle altre corrispondono a funzioni diverse e gli importi relativi, come entità eterogenee, non sono cumulabili e perciò l'astratta sommatoria di essi non esprime affatto la disponibilità finanziaria assicurata al cliente in ogni momento nello sviluppo del rapporto - l'importo della complessiva provvista.
Con piena ragione dunque la Corte di merito, con riferimento alle linee di credito per "anticipazioni su crediti" come partitamente indicate dalla stessa banca (anche nella riproposta prova per testimoni) ha negato che i c.d. affidamenti convenuti per ciascuna di esse assicurassero alla cliente società Sicmu la immediata disponibilità di risorse finanziarie, utilizzabili in più volte, e ha quindi escluso che con riguardo ai relativi limiti di importo dovesse essere valutata la funzione in concreto delle singole rimesse, come destinate a ripristinare la provvista ovvero ad adempiere ad un debito liquido ed esigibile (così correttamente confermando la decisione del Tribunale che ha giudicato della natura delle rimesse - a ripristino della provvista, ovvero solutorie - con esclusivo riguardo all'affidamento dell'unica apertura di credito in conto corrente, indicato dalla difesa della banca come "scoperto di cassa").
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione degli artt. 2721, 2724 codice civile e 113 codice di procedura civile, nonché vizio logico nella motivazione della decisione, e lamenta che i giudici di appello abbiano negato la ammissibilità della prova per testimoni sul mero presupposto della "assoluta inverosimiglianza" delle circostanze di fatto con essa prospettate (che erano invece anche documentalmente provate con l' annotazione sul libro-fidi, con le richieste - accettate - della Sicmu, con le contabili - infine - del Direttore della filiale): l'apprezzamento della Corte di merito - così conclude la ricorrente - è quindi viziato in diritto, perché disattende il capoverso dell'art. 2721 codice civile; e nell'ordine della logica, perché l'inverosimiglianza è contraddetta "dal semplice fatto che quanto affermato si è in realtà verificato".
Anche tale motivo è infondato. E' opportuno premettere che la censura così espressa assume autonoma rilevanza rispetto al primo motivo del ricorso con esclusivo riferimento all'asserito fenomeno dell'ampliamento temporaneo dell'affidamento relativo all'apertura di credito per la quale, per ammissione della stessa banca, l'utilizzazione in conto corrente incontrava il limite ordinario di lire 100 milioni. Esclusivamente per tale linea di credito può infatti parlarsi di apertura di credito in senso proprio a norma dell'art. 1842 codice civile, mentre, come già si è argomentato nell'esame del primo motivo, le altre linee di credito integravano operazioni essenzialmente diverse e il relativo affidamento non conferiva già la disponibilità immediata a favore del cliente, segnando invece il limite di importo entro il quale la banca era impegnata, alle condizioni concordate, a far credito al cliente (e l'aumento temporaneo di esso sarebbe stato perciò irrilevante al fine di apprezzare in concreto la funzione delle eseguite rimesse).
Ebbene, con il secondo motivo la ricorrente lamenta che la Corte di merito non abbia motivato adeguatamente, anche con riguardo al criterio di cui al capoverso dell'art. 2721 codice civile, le ragioni che non consentivano nella specie di superare la limitazione generale alla prova testimoniale posta dal primo comma dello stesso articolo, ma è vero invece che la sentenza impugnata, proprio con riferimento in concreto alla qualità delle parti e alla natura del contratto, ha negato l'ammissibilità della prova, richiamando la incontestabile prassi bancaria che, pur al tempo in cui vigeva la libertà di forma per lo specifico contratto, registrava la standardizzazione dei rapporti di credito bancario, attraverso la predisposizione di moduli a stampa sottoposti alla firma del cliente, non solo per la conclusione del contratto originario ma pure per gli ampliamenti dell'affidamento "specie se dell'ordine di centinaia di milioni". In particolare la Corte di merito si è fatta espressamente carico di valutare il significato asserito indiziario ai fini dell'art. 2721, secondo comma, codice civile della documentazione consistita nella richiesta di assegni circolari che recano "oltre alla firma Sicmu anche il visto della Direzione Comit" e ha negato a quei documenti il valore di principio di prova per iscritto a norma dell'art. 2724 codice civile con l'esplicito argomento, non fatto oggetto di specifico rilievo critico nella argomentazione del motivo qui in esame, che la singola operazione di concreta erogazione di credito oltre il limite dell'affidamento convenuto nella formalizzata apertura di credito non implica di per sé ampliamento di fido con l'effetto di conferire al cliente la facoltà di ripristinare la disponibilità, nel nuovo importo in ipotesi elevato, attraverso successivi versamenti in funzione di ulteriori utilizzi. Né può riconoscersi pertinente l'osservazione svolta dalla ricorrente nella memoria presentata a norma dell'art. 378 codice di procedura civile, secondo la quale l'art. 1483 codice civile prevede, se espressamente convenuta, una sola utilizzazione del credito (la c.d. apertura di credito semplice), giacché soltanto nell'ipotesi ordinaria di utilizzazione del credito "in più volte" può porsi la differenza tra versamento che ripristina in corso di rapporto la provvista (esente da revocatoria) e versamento solutorio; e anzi, è appena il caso di aggiungere, "ampliamento temporaneo" del fido sembra implicare una disponibilità appunto limitata nel tempo e suscettibile di una sola utilizzazione (sicché al riguardo neppure può parlarsi di ripristino della provvista); mentre per altro, poiché ogni sconfinamento dal limite del "fido" implica necessariamente una consapevole erogazione di risorse finanziarie da parte della banca, non può dirsi per certo contraria a logica la pur sintetica affermazione della Corte di merito secondo la quale l'erogazione di credito oltre l'importo affidato (nella specie il rilascio, a richiesta della cliente, di assegni circolari) non postula di per sé il corrispondente ampliamento dell'affidamento con l'effetto di cui all'art. 1843, primo comma, codice civile.
Infondati essendo, per le ragioni fin qui esposte, entrambi i motivi, il ricorso deve essere rigettato (omissis...).