Sentenza Commissione tributaria regionale Veneto, sez. XXXI, 16-12-1999, n. 210 - Pres. Tenaglia

 

Fatto e diritto - La Società è stata sottoposta a visita mirata - come da direttiva Se.C.I.T. - da parte della Guardia di Finanza tesa a controllare la regolarità fiscale della fusione, avvenuta il 30 novembre 1990 con la M.V. s.r.l. Nel corso della verifica i verbalizzanti hanno ritenuto che l'utilizzo del disavanzo di fusione, con conseguente annullamento delle quote, effettuato in franchigia d'imposta, possa considerarsi regolare limitatamente alla parte che riguarda la rivalutazione dei cespiti e non anche per quella afferente la partecipazione e l'avviamento, quest'ultimo calcolato per differenza. Da ciò derivano diverse situazioni rilevanti ai fini della determinazione del reddito di impresa per gli anni 1990, 1991, 1992, oltre ad essere successivamente emerse dopo l'ultima verifica.

L'ufficio delle II.DD. di Venezia, sulla scorta di tale verifica e di un'altra effettuata dal Nucleo Ispettivo dell'Amministrazione Finanziaria, ha emesso separati avvisi di accertamento per gli anni 1990, 1991, 1992. Contro tali avvisi la società ha presentato ricorso per chiedere di annullare l'accertamento per mancanza di motivazione e di dichiarare illegittimi i recuperi effettuati dall'Ufficio ai fini delle imposte dirette.

La Commissione tributaria di Venezia, con tre separate sentenze (numeri 186, 187 e 188) riconosce validità agli atti di accertamento nei casi contestati, riconosce, altresì, fondata e legittima l'operazione mediante la quale la società ha utilizzato il disavanzo di fusione, comprendendo la rivalutazione della partecipazione, l'emersione dell'avviamento e la validità di tutti gli atti conseguenti, rideterminando, per casi specifici, la perdita della società ricorrente.

Avverso tali sentenze, l'Ufficio Distrettuale delle II.DD. di Venezia presenta separati appelli, lamentando carenze di motivazione, l'erroneità nell'interpretazione e nell'applicazione della normativa vigente.

Il contribuente, tramite i difensori, presenta ben documentate memorie difensive tendenti a dimostrare la legalità del comportamento tenuto e, nuovamente, confutando il vizio di legittimità agli atti di accertamento.

E' bene ricordare che la materia del contendere risiede principalmente nell'interpretazione del secondo comma dell'art. 123 del Tuir (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) così come novellato con decorrenza 1 gennaio 1988, dall'art. 7, comma 6, della legge 11 marzo 1988, n. 67.

Tutto ciò premesso, e considerati che gli appelli sono tra loro connessi e vertono, in via principale, sullo stesso oggetto, la Commissione ne decide la riunione.

Particolarmente e in relazione alla sentenza n. 186, l'Ufficio ha proposto appello lamentando le "brevi" motivazioni dei Primi Giudici i quali hanno affermato come la modifica legislativa all'art. 123 del Tuir (legge 11 marzo 1988, n. 67) non escluderebbe integralmente la possibilità di utilizzare il disavanzo di fusione, in quanto l'esclusione varrebbe solo per le plusvalenze relativa al concambio di azioni. Così - sempre secondo il parere dei Primi Giudici - non trattandosi nella fattispecie di fusione da concambio, il disavanzo di fusione sarebbe utilizzabile per rivalutare, in franchigia fiscale, la partecipazione; pertanto, l'operazione portata a termine dalla società sarebbe da ritenersi legale. Le critiche dell'Ufficio continuano con l'affermare che mancano i richiami alla dottrina e alla giurisprudenza "prevalente" e come non sia esposto in maniera chiara e oggettiva la motivazione del favore accordato al contribuente. Quest'ultimo, a sua volta, presenta documentata memoria difensiva avverso l'appello e successiva memoria esplicativa. In essa ripropone, innanzitutto, di riconoscere la nullità dell'accertamento per la totale mancanza della motivazione di cui all'art. 42 del D.P.R. n. 600 del 29 settembre 1973. In merito alla parte che più direttamente interessa (omessa contabilizzazione di plusvalenza patrimoniale per 9 miliardi), senza nulla di nuovo aggiungere, il contribuente ripropone quanto già dimostrato in sede di ricorso, oltre a questo sostenuto in sentenza dalla Commissione Provinciale, corredando il tutto con altri documenti. Conclude, l'appellato, con la richiesta di respingere l'appello dell'Ufficio, confermare la decisione di prima istanza e, in caso di accoglimento, condannare l'Ufficio al pagamento delle spese di giudizio.

.... (omissis) ...

Per quanto attiene, invece, alla questione principale che verte sulla possibilità di utilizzare il disavanzo da annullamento per rivalutare, in esenzione fiscale, merci e partecipazioni dopo la modifica introdotta con l'art. 7, comma 6, della legge n. 67/1988, all'art. 123, comma 2, del Tuir (D.P.R. n. 917/1986), nulla di nuovo oppone l'appellante, tanto da far propendere questa Commissione a confermare, perché condivisa, la sentenza impugnata. Sentenza che nel richiamare la dottrina e la giurisprudenza "prevalente" si è riferita - e ciò è di tutta evidenza - a quella in atti, a conoscenza di tutte le parti in causa, senza pedissequamente indicare, copiando, quanto già in atti contenuto. Lo stesso comportamento tiene questa Commissione non essendo variati i termini del problema e non avendo l'appellante proposto nuove linee di confronto. Anche se si volesse riconoscere che le motivazioni sono "brevi", non si può disconoscere tuttavia che esse siano esaustive: quest'ultima è la caratteristica rilevante ai fini del processo. E' da notare, inoltre, che l'esposizione delle ragioni che hanno condotto i Giudici di prime cure alla conclusione son ben chiare, perfettamente comprensibili e oggettive.

A completezza della motivazione occorre considerare e ricordare che il problema posto dall'utilizzo del disavanzo di fusione era già presente nell'art. 16, comma 2, del D.P.R. n. 598 del 29 settembre 1973. Questa disposizione era del tutto simile a quella contenuta, all'epoca dei fatti nel comma 2 dell'art. 123 del Tuir ed era ispirata al principio di neutralità della fusione sotto il profilo tributario. Questo principio però ha avuto bisogno di diverse disposizioni di legge per completarsi.

L'utilizzo del disavanzo di fusione, quale maggior costo della partecipazione rispetto alla corrispondente quota del patrimonio netto della società incorporata, infatti, non è più riconosciuto ai fini tributari, come invece lo era all'epoca dei fatti; tale regola si applica alle fusioni deliberate solo dopo l'1 gennaio 1995 in forza dell'art. 27, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, che ha così inteso sancire la perfetta neutralità fiscale delle operazioni di fusione. Per inciso, non vi può essere dubbio se tale norma rivesta o meno il carattere di norma interpretativa, in quanto al suo interno prevede esplicitamente la decorrenza degli effetti. Si ricorda, perché utile, che una norma dicesi interpretativa quando il legislatore la qualifica come tale, quando essa intervenga in una situazione di dibattito interpretativo su una norma adottando una delle interpretazioni e quando il principio contenuto nella norma, che si qualifica interpretativa, sia già aliunde evincibile dall'ordinamento.

In seguito l'art. 3, comma 105, legge 28 dicembre 1995, n. 549, ha peraltro riconosciuto che, ai soli fini contabili e cioè senza che il valore sia riconosciuto ai fini tributari, i beni delle società fuse o incorporate possono essere rivalutati, senza costituire plusvalenza iscritta (art. 54 Tuir) per attribuire un disavanzo da annullamento o concambio, nonché per l'iscrizione dell'avviamento. Esiste anche, nella materia, una disposizione antielusiva, ovvero l'art. 10 della legge 29 dicembre 1990, n. 408, come sostituito dall'art. 28 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, che non prevede più dall'1 gennaio 1995 (vedi quanto scritto in merito alla decorrenza dell'art. 27 della stessa legge) le operazioni di fusione tra quelle elusive, in quanto non è possibile da tale data iscrivere maggiori valori a compensazione del disavanzo. In precedenza, tale articolo stabiliva che le operazioni di fusione deliberate dal 31 ottobre 1990, senza valide ragioni economiche e allo scopo di ottenere fraudolentemente un risparmio d'imposta, potevano essere disconosciute dall'Amministrazione finanziaria. Sempre in merito al ragionamento sulla portata del comma 2 dell'art. 123 del Tuir notiamo che vi trova conferma la regola, già presente nella seconda parte del secondo comma dell'art. 16 del D.P.R. n. 598/1973, della intassabilità delle plusvalenze evidenziate in bilancio a concorrenza dell'eventuale disavanzo di fusione. Il fondamento di questa regola sta nella considerazione che si tratta di effettuare sui beni il trasferimento del costo dei titoli annullati per effetto della fusione. Durata la vigenza dell'art. 16, infatti, si è sempre ritenuto che il disavanzo di fusione, conseguente all'annullamento delle azioni o quote possedute dall'incorporante, potesse essere coperto nel bilancio della società stessa con la posta di avviamento. La nuova formulazione del comma 2 dell'art. 123, dopo l'entrata in vigore della legge n. 67/1988 (art. 7, comma 6) e dopo il precedente ampliamento intervenuto per effetto della predisposizione del testo unico (22 dicembre 1986), escludeva solo la possibilità, rivelatasi fonte di manovre elusive, di utilizzare il disavanzo da concambio di azioni o quote, rimanendo per tutto il resto uguale nella portata all'art. 16 del D.P.R. n. 598/1973, e consentendo dunque l'operazione in caso di annullamento di azioni o quote. Tale interpretazione è quella che emerge dai lavori (atti parlamentari) che hanno preceduto l'emanazione della legge n. 67/1988, dai quali emerge pure come la modifica introdotta mirasse ad eliminare la praticabilità di manovre elusive rese possibili, appunto, dal concambio di azioni o quote, non invece a ridurre quanto già consentito dall'art. 16. Il fatto che il legislatore successivamente abbia cambiato orientamento, vedi precedentemente, determina una ulteriore riprova a conferma della portata del comma 2 dell'art. 123 del Tuir all'epoca dei fatti.

Sulla stessa linea di pensiero e di interpretazione si era trovata la Corte di Cassazione con la sentenza 4382/1986, dove il deciso non è di poca importanza. La Cassazione affermava che "[...] tale rivalutazione, comunque sia rappresentata, e cioè nella forma della rivalutazione effettiva e diretta di uno o più cespiti autonomamente individuati, o nella forma della rivalutazione indiretta dell'intera azienda acquistata mercé l'inserimento di una posta a titolo di avviamento, non è assoggettabile all'imposta ai sensi dell'art. 106, del Testo unico n. 645 del 29 gennaio 1958, che ha trovato conferma nell'art. 16 del D.P.R. n. 598/1973, che è norma interpretativa con efficacia retroattiva".

In merito alle plusvalenze basti pensare come il legislatore, nel suo lungo iter di "aggiustamento" delle norme interessanti le fusioni, giunga con l'art. 27 della legge n. 724/1994 ad affermare che "il disavanzo di fusione e di scissione non è utilizzabile per iscrizione di valori in franchigia di imposta, a qualsiasi voce, forma o titolo operante". Se dunque la valenza della norma preesistente fosse stata quella di iscrivibilità del disavanzo di fusione alla sola plusvalenza da cespiti, come afferma l'Ufficio, il legislatore avrebbe usato la parola "plusvalenza" e non il termine "valori", semanticamente ben più ampio. Anche nella relazione ministeriale al disegno di legge (in atti) si legge "beni" e non si fa cenno ad una particolare categoria, comprendendo nell'accezione quindi anche quelli immateriali, tra cui l'avviamento. Il disavanzo, pertanto, poteva essere iscritto fino all'entrata in vigore della legge citata, non solo sui beni materiali, ma anche su tutti gli altri beni dell'azienda, compresi quelli immateriali.

Si riconosce quindi la legittimità dell'operato della Società in merito all'utilizzo del disavanzo di fusione comprendente la rivalutazione della partecipazione e l'emersione dell'avviamento e validità a tutti gli atti conseguenti, compreso il riconoscimento, per gli anni successivi, della deducibilità delle quote di ammortamento calcolate sull'avviamento risultante dalla fusione.

Esaminati, inoltre, gli atti alla luce dell'appello (in alcuni casi basato su mere presunzioni e senza nuove prove a supporto), e della memoria difensiva ed esplicativa in merito a particolari poste di spesa non ammesse dall'Ufficio (sentenza 188), risulta esatto e provato quanto esposto e deciso dai Primi Giudici.

P.Q.M. - Gli appelli dell'Ufficio sono respinti, rimangono confermate le sentenze della Commissione Provinciale di Venezia.

Spese compensate per la situazione e difficoltà ed incertezza interpretativa della norma.