Sentenza Cassazione civile, sez. Tributaria, 19-04-2000, n. 5190
Pres. Delli Priscoli - Rel. Marziale
Svolgimento del processo - 1. Il 5 luglio 1995 l'Ufficio Distrettuale delle Imposte Dirette di Prato notificava alla "G.F. s.p.a." avviso di accertamento, con il quale rettificava in L. 91.169.000 il reddito negativo (- 128.240.000) dichiarato per l'anno 1989, determinando rispettivamente in L. 32.821.000 e in L. 14.769.000 le imposte dovute a conguaglio ai fini IRPEG e ILOR.
Veniva contestata, in particolare la violazione:
a) dell'art. 67, comma 8-bis, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, per aver dedotto dal reddito d'impresa la somma (L. 2.506.000) versata in pagamento del premio di assicurazione relativo ad un'autovettura (Mercedes 5000) da ritenersi estranea, per le sue caratteristiche, all'attività di impresa;
b) del principio di "competenza", sancito dall'art. 75 dello stesso decreto, per aver indicato tra le componenti negative del reddito nell'esercizio chiuso al 31 dicembre 1989, la spesa (L. 181.903.000) sostenuta nel successivo esercizio (il 9 aprile 1990) per concorrere alla copertura delle perdite di capitale della controllata S. s.r.l.;
c) dell'art. 71, primo comma, dello stesso decreto, per aver dedotto le quote di accantonamento per rischi su crediti (L. 35.000.000), in relazione a crediti che non potevano essere qualificati come "ricavi".
Il bilancio 1989 della società S. s.r.l., il cui capitale era di L. 99.000.000, aveva evidenziato una perdita di L. 256.648.000, che aveva comportato l'azzeramento della partecipazione della G. pari al 75,50%. Per tale ragione la G. non aveva evidenziato tale partecipazione nel proprio bilancio relativo allo stesso esercizio. Gli accertatori, pur ritenendo giustificata da un punto di vista sostanziale tale impostazione, la giudicavano scorretta dal punto di vista formale perché non accompagnata dalla allegazione del prospetto illustrativo prescritto dall'art. 5, secondo comma, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
In relazione alle infrazioni rilevate venivano irrogate, rispettivamente ai sensi dell'art. 46, secondo comma e 48, secondo comma, D.P.R. 600/73, alla società la pena pecuniaria:
- di L. 47.590.000 per infedele dichiarazione;
- di L. 600.000, per la mancata allegazione del prospetto richiesto dal citato art. 5.
1.1. La società G. proponeva ricorso, deducendo:
- che il comma 8-bis era stato inserito nell'art. 67, D.P.R. 917/86, dell'art. 26, comma 11, D.L. 2 marzo 1989, n. 69 (convertito nella legge 27 aprile 1989, n. 154) e che tale disposizione non era nella specie invocabile, essendo inapplicabile ai beni acquistati, come l'autovettura Mercedes, in epoca anteriore all'entrata in vigore di detta disposizione;
- che la sottoscrizione delle quote, essendo diretta a reintegrare il capitale della società S. azzerato dalle perdite verificatesi nel corso dell'esercizio 1989, andava imputata nel bilancio relativo a detto esercizio, ancorché tale operazione fosse stata compiuta in quello successivo;
- che tutti gli elementi necessari a dar conto dell'azzeramento del valore della partecipazione della G. al capitale della s.r.l. S. e a giustificare la sua mancata iscrizione all'attivo del bilancio erano contenuti nel conto economico e nella relazione al bilancio degli amministratori, ritualmente allegati alla dichiarazione dei redditi, e non occorreva quindi allegare il prospetto richiesto del citato art. 5 del D.P.R. n. 600/73;
- che i crediti per i quali era stato operato l'accantonamento ai sensi dell'art. 71 costituivano il corrispettivo di servizi resi a società controllate e andavano quindi considerati, a tutti gli effetti, come "ricavi".
1.2. Il ricorso era però respinto dalla Commissione tributaria di primo grado di Prato e non diverso orientamento era manifestato dalla Commissione tributaria regionale per la Toscana con sentenza depositata l'8 ottobre 1997.
1.3. La società G.F. chiede, con sei mesi di ricorso illustrati con memoria, la cassazione di quest'ultima sentenza. L'Amministrazione resiste.
Motivi della decisione - 2. Con il primo motivo, la società ricorrente - denunziando violazione dell'art. 75, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 - censura la sentenza impugnata per aver escluso che la somma (L. 181.903.000) versata il 9 aprile 1990 per la copertura delle perdite della società S. potesse essere imputata all'esercizio precedente, senza considerare che le perdite si erano evidenziate proprio in detto esercizio e che il conferimento era destinato a reintegrare il capitale perduto in quell'occasione.
2.1. La censura è infondata.
La reintegrazione del capitale, in caso di perdite, postula nuovi conferimenti, che possono essere effettuati dai vecchi come da nuovi soci, nel caso in cui i primi abbiano rinunciato all'esercizio del diritto di opzione o siano stati per altro verso privati della possibilità di esercitare tale diritto (art. 2441 c.c.).
L'operazione, che richiede il concorso della volontà della società (manifestata mediante la delibera di emissione delle nuove azioni) e dei soci (espressa con la sottoscrizione delle azioni emesse), si configura come contratto consensuale. Deve quindi ritenersi che essa si perfezioni per effetto del consenso legittimamente manifestato dalle parti (art. 1326 c.c.) e che, conseguentemente, il versamento del prezzo di emissione rilevi quale adempimento di un impegno contrattuale già assunto e non quale elemento integrante della fattispecie costitutiva (Cass. 26 gennaio 1996, n. 611).
Il principio di "competenza", stabilito in via generale dall'art. 75 del D.P.R. 917/86, implica che gli elementi reddituali (attivi e passivi) derivanti da una determinata operazione siano iscritti in bilancio (non già con riferimento alla data del pagamento del corrispettivo, ma) nel momento in cui l'operazione ha manifestato i propri effetti (positivi o negativi) sul patrimonio dell'impresa; momento che, in difetto di una contraria indicazione legislativa, deve essere individuato, nel caso di specie, in quello della conclusione del contratto.
Appare quindi evidente che ai fini dell'imputazione in bilancio dei conferimenti diretti a reintegrare il capitale perduto, come deve prescindersi dalla data della loro esecuzione, non può aversi riguardo neppure al momento in cui si è verificata la perdita, poiché quest'ultima rappresenta il semplice presupposto dei conferimenti e rimane quindi estranea alla realizzazione della loro fattispecie costitutiva e al dispiegarsi dei loro effetti.
Unico elemento da prendere in considerazione, ai fini che qui interessano, è pertanto quello costituito dall'incontro dei consensi tra la società conferitaria e il socio conferente, dal momento che, come si è appena posto in evidenza, solo con il realizzarsi di tale situazione l'operazione assume effetti per le parti.
3. Il secondo e terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente, sono invece fondati. Con essi, la società ricorrente - denunziando violazione dell'art. 5, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; nonché vizio di motivazione - censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che ricorressero i presupposti per l'irrogazione della sanzione comminata per la mancata allegazione del prospetto contabile previsto da detta disposizione, senza considerare che nel caso di specie era stato allegato il conto economico.
3.1. La doglianza era stata già formulata con l'atto d'appello, ma di essa non ha tenuto conto la Commissione tributaria regionale, che si è limitata a rilevare che il prospetto contabile non può essere surrogato dalla "relazione degli amministratori".
Ora, ben altro è il rilievo del conto economico (altrimenti detto "conto profitti e perdite") che ha il fine precipuo di esporre il risultato economico (positivo o negativo) dell'esercizio, mediante la rappresentazione dei costi e degli oneri sostenuti, nonché dei ricavi e degli altri proventi conseguiti nell'esercizio e che appunto per questo, è preso dalla legge tributaria come punto di riferimento per la determinazione del reddito imponibile (art. 52, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917).
L'art. 5, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 prescrive l'allegazione dell'apposito prospetto solo se "dal conto dei profitti e delle perdite non risultano i ricavi, i costi, le rimanenze e gli altri elementi necessari per la determinazione dell'imponibile".
Ma alla ricorrenza di tale ipotesi non è fatto, in sentenza, il benché minimo cenno.
L'omissione di tale accertamento, di indubbio carattere decisivo integra pertanto gli estremi del vizio contemplato dall'art. 360, n. 5, c.p.c.
4. Del pari fondata è la doglianza formulata con il quarto motivo, con il quale la ricorrente - denunziando violazione dell'art. 71, D.P.R. 917/86 - censura la sentenza impugnata per aver escluso la legittimità degli accantonamenti operati sui crediti derivanti da finanziamenti effettuati in favore di società controllate o collegate. Nella sentenza impugnata non viene contestata la possibilità di prendere in considerazione, ai fini dell'applicazione della norma sopra indicata, anche i crediti derivanti da finanziamenti a società collegate o controllate, che pure non sono in essa espressamente indicati.
Si assume tuttavia che la base di calcolo dell'accantonamento sarebbe costituita solo dai "ricavi" e non anche, come è stato invece fatto dalla società ricorrente, dall'intero ammontare dei finanziamenti.
4.1. L'estensione dell'ambito di applicazione del primo comma del citato art. 71 poggia sulla considerazione che l'erogazione di finanziamenti in favore delle singole società controllate o collegate rientra tra le finalità tipiche delle società che hanno quale oggetto specifico, ancorché non esclusivo, l'assunzione di partecipazioni in altre società (Ris. Min. Fin. - Dir. Gen. Imposte, 2/197 del 12 marzo 1976; Id. 19/09/015 del 1° agosto 1987).
Considerazione indubbiamente esatta, dal momento che dette società si caratterizzano per un'attività di coordinamento, anche finanziario, delle singole imprese controllate (Cass. 26 febbraio 1990, n. 1439). E che spiega perché secondo un'opinione autorevole, ancorché minoritaria, l'attività della holding dovrebbe essere ricondotta nell'alveo delle imprese ausiliarie contemplate dall'art. 2195, n. 5, c.c., in quanto diretta ad agevolare l'esercizio delle attività imprenditoriali svolte dalle altre società del gruppo.
Ma se, per quanto si è detto, l'erogazione di finanziamenti in favore delle società controllate e collegate da parte della capogruppo, rientri nell'attività tipica di quest'ultima società, deve necessariamente ritenersi - sulla base di quanto testualmente previsto dal citato art. 71, primo comma - che la base di calcolo degli accantonamenti previsti da tale disposizione sia costituita dall'importo "complessivo" dei crediti derivanti dal compimento di tale operazioni (e, quindi, non solo dagli interessi, ma dalla stessa sorte capitale e da ogni altro accessorio), così come del resto è stato riconosciuto in altra occasione dalla stessa Amministrazione finanziaria (Ris. Min. 19/09/015, 1° agosto 1987).
5. Restano il quinto e il sesto motivo, con i quali la società G. - denunziando violazione dell'art. 67, comma 8-bis, D.P.R. 917/86 in relazione all'art. 38, D.L. 69/89; nonché vizio di motivazione - censura la sentenza impugnata per aver escluso la deducibilità del premio di assicurazione dell'autovettura Mercedes 5000, senza considerare che il comma 8-bis del citato art. 67 è applicabile solo ai beni acquistati dopo l'entrata in vigore del D.L. 69/89 e che nel caso di specie si era offerta la prova che l'acquisto era avvenuto nel 1985 e, quindi, prima di tale momento.
La ripresa a tassazione di tali costi è stata giustificata, nella sentenza impugnata, con la considerazione che le caratteristiche "di gran lusso" dell'autovettura la rendevano non inerente all'esercizio dell'impresa.
5.1. Tale considerazione, peraltro, poteva essere condivisa solo se riferita al disposto del comma 8-bis dell'art. 67, D.P.R. 917/86 (introdotto dall'art. 26, comma 11, D.L. 2 marzo 1989, n. 69, convertito dalla legge 27 aprile 1989, n. 154 e successivamente abrogato dall'art. 17, legge 27 dicembre 1997, n. 449), il quale aveva sancito l'indeducibilità delle spese d'impiego delle autovetture con cilindrata superiore a 2000 c.c. o con motore diesel di cilindrata superiore a 2500 c.c. che non fossero destinate ad essere utilizzate esclusivamente come beni strumentali nell'attività propria dell'impresa.
Detta disposizione, che introduceva per tale categoria di beni una limitazione significativa al principio sancito dal 10° comma dello stesso art. 67 sulla deducibilità dei costi relativi ai beni mobili adibiti "promiscuamente" all'esercizio dell'impresa e all'uso personale o familiare dell'imprenditore, era applicabile solo relativamente ai beni acquistati (o acquisiti in leasing) a partire dalla data di entrata in vigore del D.L. n. 69/89 e, cioè, dal 2 marzo 1989.
La società ricorrente aveva proposto un documento al fine di dimostrare che l'autovettura era stata acquistata in epoca anteriore a tale data. Ma tale documento, di indubbio carattere decisivo, non è stato minimamente considerato dai giudici di secondo grado, la cui decisione appare conseguentemente viziata in relazione a quanto disposto dall'art. 360, n. 5, c.p.c.
Entro tali limiti vanno pertanto riconosciute fondate anche le doglianze formulate con il quinto e il sesto motivo di gravame.
6. In conclusione debbono essere accolti tutti i motivi di ricorso ad eccezione del primo. La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata, con conseguente rinvio della causa ad altra sezione della Commissione tributaria regionale per la Toscana, che si atterrà ai principi di diritto sopra puntualizzati nei paragrafi 3.1 e 4.1, provvedendo inoltre alla valutazione della documentazione prodotto dalla società ricorrente a dimostrazione dell'anteriorità della data di acquisto dell'autovettura Mercedes rispetto all'entrata in vigore del D.L. 2 marzo 1989, n. 69.
Il giudice di rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese della presente fase.
P.Q.M. - La Corte di cassazione rigetta il primo motivo di ricorso e accoglie gli altri; cassa in relazione ai motivi accolti la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale per la Toscana.