Sentenza Commissione tributaria regionale Lombardia, sez. LIX, 06-06-2000, n. 62 - Pres. Martorelli - Rel. Letizia

Svolgimento del processo - Con atto del 29 novembre 1990 la "I. S.T. - s.r.l." incorporava la "I. S. - s.r.l.". Dall'annullamento della quota di partecipazione sostituita dal patrimonio della incorporata, risultando detta quota acquistata ad un costo caricato in bilancio superiore al valore netto contabile o patrimonio netto secondo il bilancio dell'incorporata, emergeva un disavanzo di fusione di L. 4.928.887.000 che la incorporante utilizzava per rivalutare gli immobili della S. s.r.l. ed iscrivere in bilancio le plusvalenze in esenzione da imposte.

Il 2° Ufficio Distrettuale delle II.DD. di Milano, sul presupposto che secondo l'art. 123 del D.P.R. 917/86 dette rivalutazioni in franchigia da imposte potessero riguardare soltanto beni strumentali dell'impresa e che gli immobili nell'ambito della specifica attività delle società immobiliari sono classificabili come beni - merci produttivi di ricavi e non di plusvalori, con avviso di accertamento n. 4653003712/prot. 96 - 15992 notificato il 25 settembre 1996 riprendeva a reddito della incorporante il maggior valore iscritto in bilancio fino alla concorrenza del disavanzo di fusione quale plusvalenza tassabile a norma dell'art. 54, comma 1, lett. c), del D.P.R. 917/86. Ne conseguiva nell'avviso l'addebito di complementi di IRPEG per L. 1.773.151.000 e di ILOR per L. 797.918.000.

Il ricorso della società è stato accolto in pieno dalla C.T.P. di Milano - Sez. n. 20 con la sentenza n. 24 del 22 gennaio 1998, depositata il 20 febbraio 1998, nella quale, premesso che con certificazioni in atti dell'UTE e della Conservatoria dei RR. II. la società ha provato che gli immobili in questione erano tutti classificati in cat. C/3, cioè come laboratori per l'esercizio di arti e mestieri, si sottolinea che siffatti immobili sono strumentali per natura, perché non suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni, anche se non utilizzati dal titolare o dati in locazione o comodato; inoltre, che rafforza la natura strumentale degli immobili stessi l'applicazione ai relativi contratti di locazione da parte della società incorporata dell'aliquota IVA al 19% propria delle locazioni dei beni di specie e non quella del 10% prevista invece per le locazioni di immobili-merci.

Nell'appello l'Ufficio, ribadito che in base al 2° comma dell'art. 123 del TUIR l'allocazione del disavanzo di fusione concerne esclusivamente i beni strumentali suscettibili di generare plusvalenze e non i beni-merce produttivi solo di ricavi, assume che in base al 2° comma dell'art. 40 D.P.R. 917/86 si qualificano strumentali all'esercizio di impresa, arti o professioni gli immobili non suscettibili di diversa utilizzazione e tra questi non rientrano gli immobili che nell'ambito delle immobiliari possano essere oggetto sia di locazione che di cessione; inoltre, che ulteriore conforto a tali conclusioni si desume dal principio della neutralità fiscale delle fusioni e dall'evoluzione legislativa nella soggetta materia fino alla abrogazione con legge 23 dicembre 1994, n. 724, della franchigia da imposte per le rivalutazioni da fusioni iscritte.

Resiste la società la quale ribadisce le argomentazioni ed eccezioni già accolte e che si riassumono di seguito. Dopo aver richiamato la disciplina di cui agli artt. 16 e 12 del previgente D.P.R. 598/73 che comprendeva chiaramente nella esclusione da imposte anche le plusvalenze da magazzino, cioè dei beni-merce, iscritte a fronte di disavanzi di fusione, e la disposizione originaria del 1° comma dell'art. 123 D.P.R. 917/86 che espressamente escludeva dalla determinazione dell'imponibile le stesse plusvalenze "comprese quelle relative alle rimanenze ed il valore dell'avviamento", la deducente assume che la soppressione di quest'ultimo inciso per effetto dell'art. 7 legge 67/88 non ha determinato significative innovazioni, perché, a ben guardare, si è ripristinata la precedente disciplina dell'art. 16 con la conseguenza che non potevano non continuare a riconoscersi la possibilità della iscrizione in esenzione delle plusvalenze sui beni merci. La tesi dell'Ufficio, secondo la quale i beni - merce producono solo ricavi e non plusvalenze, trova una chiara smentita in numerose disposizioni di legge, che parlano di rivalutazioni del magazzino, ivi compresi il 1° comma dell'art. 123 del TUIR ed i commi 4 e 8 dell'art. 59 dello stesso T.U., quali autentiche plusvalenze iscritte riguardabili come tali anche per gli effetti di cui al 2° comma dell'art. 123, e tutto ciò trova un riscontro nei lavori parlamentari relativi alla legge n. 67/88.

Soprattutto la deducente ribadisce che gli immobili della incorporata, destinati sempre sin dall'acquisto nel 1954 a locazione, contabilizzati come cespiti patrimoniali tra le "immobilizzazioni materiali - terreni e fabbricati", per intrinseca natura strumentale perché classificati in categoria C/3, come da certificazioni prodotte, non possono diventare beni-merce soltanto perché potenzialmente potrebbero essere oggetto di cessione, posto che una eventualità del genere, è estensibile a tutti gli altrui cespiti: particolare significato assume anche ai fini della qualificazione degli immobili la circostanza che la incorporata, quale società immobiliare di gestione, aveva sempre acquistato immobili per lo svolgimento della sua attività e in essa in 40 anni di vita nessun immobile è stato mai oggetto di cessione. Del tutto inconferente poi viene ritenuto il richiamo all'art. 27 della legge 724/94, che ha sancito la inutilizzabilità dei disavanzi di disposizione innovativa applicabile dall'1 gennaio 1995, ed all'art. 21 del D.L. n. 41/45 istitutivo di una imposta del 20% sui valori dei quali si intende ottenere il riconoscimento.

Conclude con la richiesta di conferma della sentenza di 1° grado ed, in subordine, di inapplicabilità della sanzione ai sensi dell'art. 8 del D.Lgs. 546/92.

Sentito in pubblica udienza il difensore della società, in assenza del rappresentante dell'Ufficio, il Collegio

Osserva - La esclusione aprioristica e generalizzata da parte dell'Ufficio della strumentalità degli immobili posseduti dalle società immobiliari e la classificazione di questi come beni-merce, inidonei a recepire il disavanzo di fusione da imputare solo ai beni patrimoniali suscettibili di produrre plusvalenze, non appaiono affatto condivisibili.

Invero, la realtà delle società immobiliari presenta situazioni molto diverse fra loro ed impone, quindi, di procedere ad una indagine di fatto sulla strumentalità o meno dei loro beni. Nel caso specifico occorre considerare che la resistente sin dalla sua costituzione nel 1954 acquistava immobili, che riportava in bilancio come cespiti patrimoniali, destinandoli alla locazione e non alla rivendita: l'attività propria della stessa, quindi, consisteva esclusivamente nel fornire prestazioni di servizi di locazione e gli immobili in possesso, per giunta strumentali per natura perché classificati in cat. C/3, erano strumentali perché costituivano il patrimonio o, meglio, il mezzo indispensabile per lo svolgimento di detta attività che, essendo organizzato in forma di impresa, era a tutti gli effetti oggettivamente di natura commerciale ai sensi dell'art. 51 del TUIR.

Naturalmente non trattavasi di strumentalità in senso tecnico perché nessuna attività vi esercitava direttamente l'imprenditore-proprietario (dato che erano occupati ed utilizzati dai conduttori), ma rispetto al fine dell'impresa, che era la produzione di servizi di locazione verso terzi, non diversa da ogni altra sistematica attività di servizi organizzata imprenditorialmente, gli immobili e qualunque altro bene impiegati a detto scopo erano strumentali: non v'ha dubbio che pure il reddito ricavato dalla locazione di unità immobiliari professionalmente organizzata, proveniva non soltanto dagli edifici affittati, ma anche dall'impiego di personale ed attrezzature mobiliari ed immobiliari dell'impresa che gestiva il complesso degli edifici. Non sarebbe ammissibile d'altra parte discriminare, sotto i profili in argomento, le società immobiliari rispetto a tante altre società che forniscono ugualmente prestazioni di servizi di tipo locatizio ed i cui ricavi sono rappresentati esclusivamente dai canoni tratti dalla dazione a terzi, in uso provvisorio o prolungato, di propri beni patrimoniali, quali, ad es., le società di noleggio di autovetture e macchinari vari o le società di locazione finanziaria in genere, per nessuna delle quali può negarsi che i beni posseduti, ancorché non immessi in un processo industriali o mercantile, costituiscono beni aziendali e strumentali.

Nella fattispecie la tesi dell'Ufficio della non strumentalità degli immobili gestiti dalla resistente per la locazione, non si spiega, trattandosi di beni risultanti oggettivati proprio in detta attività esercitata.

I rilievi di sopra svolti risultano già di per sé sufficienti a togliere fondamento all'accertamento dell'Ufficio incentrato sul carattere non strumentale e sulla conseguente non rivalutabilità agevolata in sede di fusione degli immobili della incorporata, ma la costante giurisprudenza di merito, condivisa da questo Collegio, afferma che, pur assecondandosi la configurazione dei beni pretesa dall'Ufficio, non sarebbe preclusa la rivalutazione in franchigia di imposta del patrimonio della incorporata fino a coprire il disavanzo di fusione.

Le norme nella soggetta materia in tutta la loro evoluzione storica, non lasciano dubbi che nei limiti in cui realizza l'assorbimento del disavanzo di fusione emergente dal raffronto tra il costo della partecipazione ed il valore netto risultante dalle scritture contabili della incorporata, detta rivalutazione, comunque sia rappresentata, non da luogo a plusvalenze tassabili.

Già in regime pre-riforma, sia pure alla stregua della poco chiara formulazione del 2° comma dell'art. 16 D.P.R. 598, la S.C. di Cassazione con la sentenza 3 luglio 1986, n. 4382 e la stessa A.F. con nota ministeriale 8 settembre 1976, n. 9/772, affermarono nel caso di specie la applicabilità del principio della irrilevanza fiscale e la regola, trasfusa poi molto chiaramente nel comma 2° dell'art. 123 del D.P.R. 917/1986, nella sua formulazione originaria mai entrata in vigore, non ha subito alcuna modificazione per il caso che interessa per effetto della successiva legge 11 marzo 1988, n. 67.

La intassabilità delle plusvalenze evidenziate fini a concorrenza del disavanzo di fusione trae fondamento dalla considerazione che così si ottiene l'effetto di trasferire sui beni ricevuti con la incorporazione il costo sostenuto per l'acquisto della partecipazione annullata con la fusione.

Non si tratta di una norma agevolativa, ma preordinata a consentire l'allineamento del valore del cespite dell'incorporata ad un costo già sostenuto.

Val la pena osservare poi come tra le novità introdotte dalla legge 67/88 non si riscontra, come da taluni si sostiene la esclusione dai beni rivalutabili delle rimanenze, né il divieto di iscrivere, a fronte del disavanzo, un valore di avviamento: è solo vero che la facoltà di rivalutare il magazzino e di iscrivere un valore di avviamento, risultante espressamente contemplata dal testo originario del 2° comma dell'art. 123 TUID, non è stata riprodotta nel testo modificato dalla legge n. 67/1988.

A favore della tesi negativa, si rammenta che pur a seguito delle citate innovazioni, al 1° comma dell'art. 123 la neutralità fiscale delle plusvalenze da fusione risulta estesa a tutti i beni dell'impresa ed anche alle rimanenze, ed, inoltre, che secondo le risultanze degli atti parlamentari e delle opinioni espressi dagli stessi promotori della modifica, la legge n. 67/88 intese solo eliminare la rilevanza fiscale del disavanzo da concambio. Non ha senso logico ammettere in sede di fusione la possibilità del riallineamento del valore dei cespiti dell'incorporata, negandola per il magazzino ed i beni non strumentali: l'origine del disavanzo, la necessità di effettuare un riallineamento dei valori e gli effetti di questo per il futuro sono, infatti, assolutamente identici in entrambi i casi.

Viene perciò totalmente confermata la sentenza di primo grado con compensazione delle spese del grado tra le parti, in considerazione della complessità e delle obiettive difficoltà della controversia.

P.Q.M. - La Commissione conferma la decisione di primo grado. Spese compensate.