CIRCOLARE 029/2002 DELL’11 NOVEMBRE 2002

 

INTERESSI DI MORA AUTOMATICI

DaL 7 NOVEMBRE 2002, nelle transazioni commerciali gli interessi sui pagamenti in ritardo saranno automatici. E in mancanza di accordi diversi tra le parti, la mora scatterà dalla fattura o dalla consegna delle merci. Le nuove regole sono previste dal decreto legislativo 231 del 9 ottobre scorso, in vigore dal 7 novembre 2002, che dà attuazione alla direttiva 200/35/Ce sulla tutela dei creditori.

Chi riguarda

Le nuove disposizioni riguardano le imprese e i professionisti, artigiani, commercianti, produttori e distributori. Sono invece esclusi i rapporti tra imprenditori e privati, cioè l’anello terminale dell’attività di commercio. In sostanza, il privato che non onora un debito verso un imprenditore o un professionista non è soggetto alle nuove disposizioni né a maggiori interessi di mora.

I contratti da rivedere

Il decreto legislativo 231/02 si applica ai contratti stipulati dopo l’8 agosto 2002. Particolare attenzione va dedicata ai termini per la decorrenza degli interessi e al saggio di interesse. Solo se nei contratti non viene precisato nulla su questi elementi si applicheranno le norme del decreto 231/02, cioè interessi automatici di sette punti superiori a quelli praticati dalla Banca centrale europea per i propri finanziamenti.

Debitori e creditori

La norma ha un occhio di riguardo per i debitori, precisando che non vi sono interessi da pagare se vi è un ritardo non imputabile al debitore. In tal modo si conferma un principio già posto dal Codice civile (articolo 1218) che libera il debitore che non può adempiere per caso fortuito o forza maggiore (con una casistica che va dai ritardi postali alla rapina, dal sopravvenire di leggi più restrittive nel commercio fino al sequestro dei beni stessi). Ma anche il creditore è trattato con attenzione: l’articolo 4 del decreto prevede che sia approvato, in forma scritta, un eventuale patto con interessi, che decorrono, ad esempio, da 60 giorni dopo il ricevimento della fattura ( il Dlgs prevede interessi già dopo 30 giorni). Inoltre, con un vantaggio notevole per il creditore: le spese di recupero dei crediti vanno liquidate a favore del creditore, anche se questi procede in proprio o attraverso un’impresa di recupero.

L’invio delle fatture

Una novità immediata è la necessità di trasmettere la fattura con modalità tali da poter essere certi del giorno della sua ricezione. Il decreto 231/02 innova infatti per quanto riguarda il giorno in cui il debitore diventa moroso, accorciando notevolmente il termine. L’articolo 4 definisce moroso il debitore che non paga dopo trenta giorni, senza che il creditore debba inviargli alcuna sollecitazione al pagamento. In precedenza, l’articolo 1454 del Codice Civile prevedeva una lettera da inviare dopo la scadenza del termine per il pagamento, con invito a regolarizzare la posizione entro 15 giorni. Inoltre, il decreto non pone limiti alla possibilità di dimostrare l’avvenuto recapito della fattura (e il conseguente inizio della mora). Si può così ritenere superata la necessità di una lettera raccomandata "di messa in mora" se la fattura è trasmessa in via telematica, con un sistema che dia un principio di prova dell’avvenuta ricezione.

L’autonomia delle parti

Un effetto immediato del Dlgs 231 è la verifica dei patti relativi alla consegna dei beni e alla prestazione dei servizi, poiché dal momento della consegna o della prestazione scattano effetti rilevanti sul corrispettivo (che viene incrementato di interessi). Poiché il decreto prevede interessi automatici, ogni patto diverso dovrà essere dimostrato non solo dal debitore, ma anche dal creditore. Sarà poi il Fisco a rivolgersi al creditore chiedendogli il pagamento di imposte sugli interessi che ora sono automatici.

Effetti fiscali

Le conseguenze non saranno tanto nei rapporti commerciali – che con il tempo si assesteranno – quanto nei rapporti Fisco/contribuente. Gli interessi di mora contabilizzati – e non riscossi – si possono accantonare e non si ha nessun impatto a livello di risultato civilistico o di imponibile fiscale. Se invece gli interessi non vengono contabilizzati, si avrà l’integrale tassazione degli stessi nell’esercizio di maturazione. Il Fisco recupera a tassazione una componente positiva maturata e non contabilizzata (e non può certo operare un accantonamento non fatto dal contribuente). Siccome di solito gli interessi di mora non vengono riscossi, il credito relativo deve essere stornato e di pari importo va diminuito il relativo fondo specifico. E’ prassi contabile operare a fine esercizio di modo che il credito per interessi di mora in bilancio trovi perfetta corrispondenza nell’importo del relativo fondo. Il fatto è che gli addebiti effettuati sul fondo non tassato hanno una vera e propria natura di perdite su crediti contabilizzate. Il Fisco per riconoscere la deducibilità pretenderà requisiti di forma (accordi, corrispondenza, ecc.) e di sostanza che raramente si hanno con gli interessi di mora. C’è da augurarsi che la giurisprudenza riconosca che in casi del genere la rinuncia non ha natura liberale, ma si colloca in un preciso quadro di corretta gestione aziendale, visto il preciso interesse dell’imprenditore a non perdere la clientela che nonostante qualche ritardo, finisce poi col pagare.

 

 

 

 

 

Fonte: D.Lgs. 231/02; Il Sole 24 Ore del 06.11.02 e del 07.11.02 – articoli di G. Giunta e G. Saporito