CIRCOLARE N.011/2001 del 19 marzo 2001

 

 

CFC "Rules" - Problemi irrisolti e alcuni casi pratici

 

La disciplina delle CFC (Controlled Foreign Companies), introdotta nel nostro ordinamento dalla legge 21 novembre 2000 n. 342, e ora contenuta nell’art. 127-bis del Tuir, è nata dall’esigenza di coordinamento ed omogeneizzazione, tra i Paesi industrializzati, per contrastare il fenomeno della c.d. delocalizzazione all’estero delle imprese nazionali per finalità di risparmio fiscale allorquando la partecipata estera opera in territorio con regime fiscale privilegiato.

Il legislatore italiano nell’introdurre la nuova disciplina di tassazione delle imprese partecipate estere, si è rifatta ad analoga normativa già in vigore da anni in alcuni dei principali Paesi industrializzati quali gli Stati Uniti, la Germania, il Canada, la Francia e l’Inghilterra, e più recentemente in Spagna, Danimarca e Portogallo.

La norma però presenta aspetti applicativi concreti di non facile soluzione.

Un primo problema che finora si è teso a sottovalutare è dato dalla determinazione del reddito del soggetto residente in territorio fiscalmente privilegiato, al quale andrebbero applicate le regole per la determinazione del reddito d’impresa di cui all’art. 51 ss del Tuir. Si tratta dunque di determinare un reddito d’impresa, prodotto in territorio estero da società estera, seguendo i principi tributari dettati dal legislatore italiano. E il problema si pone non solo in merito alla sua individuazione, ma anche in merito alla eventuale verifica della corretta determinazione dello stesso da parte dell’Amministrazione Finanziaria Italiana. Quali mezzi ha il Fisco per giungere ad un risultato che vada oltre le comunicazioni della partecipante? Ovviamente lo strumento principe di cui servirsi è lo scambio di informazioni tra le Amministrazioni Finanziarie dei vari Paesi, ma in questo caso stiamo proprio parlando di società localizzate in Paesi a fiscalità privilegiata, con i quali in genere non sono in vigore convenzioni internazionali e con i quali sicuramente non si ha un efficace scambio di informazioni.

Vi è inoltre il problema dell’effettiva identificazione degli utili della società partecipata estera; in particolare, nell’ipotesi in cui i dividendi deliberati dalla partecipata estera pervengano al soggetto residente attraverso una catena di società anch’esse domiciliate all’estero, ad ogni passaggio possono sommarsi algebricamente ad altri proventi e costi; allo stato attuale della normativa c’è il rischio che, se gli utili della partecipata estera transitano attraverso più società domiciliate all’estero, ci sia un prelievo fiscale ad ogni passaggio, senza che la normativa vigente riconosca esplicitamente al soggetto residente in Italia il relativo credito d’imposta.

L’Assonime poi, nella sua Circolare n.65 del 18 dicembre 2000, ha rimarcato la possibilità di contrasto della nuova normativa con le Convenzioni Internazionali contro le doppie imposizioni in vigore, per evitare lo svilupparsi di un ampio contenzioso fiscale è necessario procedere ad una rinegoziazione delle Convenzioni volta a far espressamente salva l’applicazione della normativa interna di cui all’art. 127-bis Tuir.

Più delicato ancora è il problema della compatibilità del nuovo regime con la normativa comunitaria (con particolare riferimento alla libertà di stabilimento e, sia pure in misura minore, alla libertà di circolazione dei capitali, garantite dal Trattato Istitutivo), dal momento che anche Paesi o territori dell’Unione Europea potranno essere inseriti nella black list.

Sarà infatti sufficiente, stando a quanto anticipato da fonti ministeriali, la presenza di uno dei seguenti requisiti a) un livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello in vigore in Italia; b) la mancanza di un adeguato scambio di informazioni; c) la presenza di altri criteri equivalenti, per individuare i Paesi o territori a fiscalità privilegiata. E non vi è alcuna preclusione normativa tale da comportare l’esclusione dei Paesi Comunitari.

Oltre all’emanazione della nuova lista di "paradisi fiscali", c.d. "black list", un ulteriore decreto, da emanarsi entro il settembre 2001, dovrà contenere le disposizioni attuative della norma antielusiva, con particolare riferimento alle modalità ed ai termini di presentazione dell’istanza di interpello che il contribuente italiano potrà presentare all’Amministrazione Finanziaria per dimostrare l’effettivo svolgimento da parte della controllata estera di un’attività industriale o di prestazione di servizi come attività principale nello Stato in cui ha sede.

Alla luce di quanto detto (e molto ancora ci sarebbe da aggiungere), è evidente come la norma necessiti di notevoli supporti sia interpretativi che normativi, al fine di pervenire a comprenderne la reale portata.

In merito poi alla sua effettiva applicazione, giova ricordare che la norma sarà operativa non prima del 1° gennaio 2002; infatti saranno assoggettati alla "CFC legislation" solo i redditi prodotti a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in cui verrà pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto ministeriale con il nuovo elenco dei Paesi o territori a fiscalità privilegiata (nuova "black list").

Per i Gruppi Italiani che hanno impostato strutture fiscali aggressive, e dunque potenzialmente penalizzabili dalla nuova disciplina, ci sarà dunque tutto il tempo di rivedere il proprio tax planning.

Di seguito vengono analizzati alcune situazioni schematiche di applicabilità della normativa introdotta dall’art.127-bis del TUIR.

CASO n.1

Si ipotizzi la seguente realtà:

- il soggetto A (italiano) possiede il 90% del soggetto B (italiano);

- il soggetto B possiede il 51% del soggetto C (estero - "black list").

Dalla situazione di controllo sopra esposta, ai fini della disciplina in esame, deriva che:

- il soggetto estero C si considera (per la proprietà transitiva del controllo di cui all’art.2359) controllato dai soggetti A e B;

- A non possiede una partecipazione diretta nel soggetto estero C;

- il reddito di C deve essere imputato in proporzione alla partecipazione diretta (51%) solo a B, in qualità di primo soggetto italiano che controlla direttamente il soggetto estero C.

CASO n.2

Si ipotizzi la seguente realtà:

- il soggetto A (italiano) possiede il 90% del soggetto B (italiano);

- il soggetto A (italiano) possiede il 45% del soggetto C (estero - "black list");

- il soggetto B possiede il 25% del soggetto C (estero - "black list").

Dalla situazione di controllo sopra descritta, ai fini della disciplina in esame, deriva che:

- il soggetto estero C si considera controllato da A;

- la normativa si applica sia al soggetto A che al soggetto B (anche se non detiene il controllo di C);

- il reddito di C deve essere imputato ad A in proporzione della partecipazione diretta (45%) e a B (25%).

Questo perché, se da un lato la normativa richiede che vi sia un soggetto estero controllato, direttamente o indirettamente (vd. soggetto C), dall’altro dispone che i redditi di tale soggetto siano imputati "...ai soggetti (ci si riferisce ad una pluralità di soggetti) residenti (vd. A e B) in proporzione alle partecipazioni dagli stessi detenute" (art.127-bis TUIR). Quindi, una volta identificato il presupposto del controllo, in sede di imputazione del reddito ai residenti, si coinvolgono tutti i soggetti che detengono una partecipazione (anche non di controllo).

CASO n.3

Si ipotizzi la seguente realtà:

- il soggetto A (italiano) possiede il 90% del soggetto B (estero);

- il soggetto B possiede il 51% del soggetto C (estero - "black list").

Dalla situazione di controllo sopra descritta, ai fini della disciplina in esame, deriva che:

- A controlla indirettamente il soggetto estero C;

- il reddito di C da imputare ad A deve essere proporzionale alla partecipazione indirettamente detenuta = 90% di 51% = 46%.

CASO n.4

Si ipotizzi la seguente realtà:

- il soggetto A (italiano) possiede il 70% del soggetto B (italiano);

- il soggetto A possiede il 70% del soggetto D (estero);

- il soggetto B possiede il 45% del soggetto C (estero - "black list");

- il soggetto D possiede il 25% del soggetto C (estero - "black list").

Dalla situazione di controllo sopra descritta, ai fini della disciplina in esame, deriva che:

- A controlla indirettamente il soggetto estero C;

- il reddito di C da imputare ad A deve essere proporzionale alla partecipazione indirettamente detenuta = 70% di 25% = 17,5%;

- il reddito di C deve essere imputato ad B in proporzione della partecipazione diretta (45%)

CASO n.5

Si ipotizzi la seguente realtà:

- il soggetto A (estero) possiede il 60% del soggetto B (italiano);

- il soggetto A possiede il 60% del soggetto D (italiano);

- il soggetto B possiede il 35% del soggetto C (estero - "black list");

- il soggetto D possiede il 35% del soggetto C (estero - "black list").

Dalla situazione di controllo sopra descritta, ai fini della disciplina in esame, deriva che:

- manca il presupposto a monte per l’applicazione delle CFC rules (controllo da parte di un soggetto italiano); è un caso che esula dall’ambito di applicazione della disciplina in esame.

 

 

 

 

Fonte: News fiscali n. 11 del 19.03.01 newsletter settimanale gratuita del sito www.fiscali.it