Fonte: Le Società - Opinioni - 9 / 1997, p. 1090

Giurisprudenza in sintesi

RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA DEL TRIBUNALE DI MILANO

Massime 1996 comunicate dal Presidente Giuseppe Tarantola

RAGIONE SOCIALE

Non è consentito inserire nella ragione sociale espressioni del tipo "invest" o "banca" a società che non svolgano, rispettivamente, attività di investimento in prodotti finanziari o di istituto di credito.

Spesso la ragione sociale contiene espressioni che non hanno riferimento all'oggetto sociale. Il legislatore si è preoccupato di evitare che queste espressioni possano ingannare il mercato nel caso di attività che richiedono particolare trasparenza per la fiducia che si ripromettono di ottenere tra il pubblico. Pertanto è illegittimo (e comporta persino responsabilità penali) svolgere attività di raccolta dati sotto il nome di "banca", per il disposto dell'art. 133, D.Lgs. 15 settembre 1993, n. 385 e svolgere attività di investimento estranea ai valori mobiliari sotto il nome di "impresa di investimento" o simili, per il disposto dell'art. 40, D.Lgs. 23 luglio 1996, n. 415.

OGGETTO SOCIALE

Non è legittimo inserire contemporaneamente nell'oggetto sociale l'esercizio in proprio di un'attività commerciale e la mediazione sull'attività che si intende esercitare.

La massima è superflua se si considera che l'incompatibilità tra esercizio del commercio in uno specifico settore merceologico e attività di mediazione in quello stesso settore è prevista dall'art. 5, comma 3, L. 3 febbraio 1989, n. 39. Si ritiene però opportuno pubblicarla per richiamare l'attenzione su una disposizione di legge spesso non rispettata, con conseguente necessità di rettifiche degli atti.

OBBLIGAZIONI

Per valutare la capienza del capitale, occorre tenere conto dei prestiti risultanti nell'ultimo bilancio approvato, anche se sia data notizia dell'avvenuta estinzione degli stessi tra l'approvazione di quel bilancio e la delibera di emissione del nuovo prestito.

Il prestito obbligazionario è garantito dal versamento del capitale: gli azionisti sono dunque i primi garanti degli obbligazionisti e non possono esigere il loro credito verso la società fintanto che questi non siano soddisfatti. Poiché il primo comma dell'art. 2410 richiede che il capitale risulti versato ed esistente secondo l'ultimo bilancio approvato, non hanno rilevanza i movimenti che a questo sono sopravvenuti. Ne deriva che non è sufficiente attestare l'estinzione di un prestito indicato in bilancio per sostenere l'attualità della copertura del nuovo prestito: la variazione della posta passiva può rilevare soltanto se vengano evidenziate le variazioni delle altre poste di bilancio, e in particolare quella delle poste attive, e dunque l'emissione del prestito appare legittima soltanto se accompagnata dall'approvazione di un bilancio più recente, dal quale risulti espunta la voce relativa al precedente prestito.

Il principio è già stato enunciato in una massima del 1985, ma va ribadito per fare il punto sui contrasti sorti in occasione dell'applicazione dell'art. 3, comma 114, L. n. 549/1995.

Per evitare le pregiudizievoli conseguenze fiscali di questa norma, inserita nella finanziaria di fine anno, le società che avevano fatto ricorso a prestiti obbligazionari a tassi elevati (in prevalenza sottoscritti dai soci) hanno approvato l'estinzione di questi prestiti e l'emissione di nuovi prestiti a tassi ridotti, insistendo perché venisse ritenuta sufficiente l'attestazione degli organi di gestione e di controllo dell'effettiva capienza del nuovo prestito, o perché i titoli in circolazione erano stati semplicemente sostituiti o perché erano stati rimborsati e l'importo era stato nuovamente impegnato nella nuova sottoscrizione. Questa attestazione non è stata ritenuta sufficiente perché non prevista dalla norma e per la difficoltà di effettuare i necessari controlli sulla veridicità della stessa.

La garanzia ipotecaria offerta nel caso di insufficiente capienza del capitale deve riguardare l'intero ammontare del prestito che si vuole emettere.

Le varie ipotesi elencate nel secondo comma dell'art. 2410 costituiscono casi eccezionali che, secondo il legislatore, consentono di derogare al principio della garanzia del capitale. Sono quindi casi che non possono essere estensivamente interpretati. La garanzia con ipoteca sui beni immobili della società è estesa all'intero ammontare del prestito che si vuole emettere e non sulla sola eccedenza dell'importo delle obbligazioni rispetto al capitale, come invece è previsto per la garanzia con titoli nominativi emessi o garantiti dallo Stato. La differenza di disciplina, che risulta dal preciso testo legislativo, è giustificata dal fatto che i titoli di Stato sono facilmente realizzabili alla scadenza del prestito, al contrario dell'ipoteca, che può avere tempi lunghi e deve quindi tenere conto delle pretese di danni o di maggiori interessi da parte dei creditori.

AMMINISTRATORI

E' legittima la clausola che preveda la possibilità di tenere le riunioni del consiglio di amministrazione in videoconferenza, purché risulti garantita l'identificazione dei partecipanti e la possibilità degli stessi di intervenire attivamente nel dibattito.

Le riunioni del consiglio di amministrazione devono rispondere alle esigenze di rapidità di intervento operativo imposte dal mercato. E' dunque legittima la convocazione del consiglio in termini brevissimi, per via telefonica e telematica. E' però inevitabile che alcuni consiglieri, e in particolare quelli di maggior peso ed esperienza, non abbiano il tempo materiale di recarsi in un unico luogo di incontro. La tecnologia telematica offre oggi la possibilità di creare in via virtuale tutte le condizioni di una conferenza reale e, per evitare la perdita di qualificate professionalità, sembra legittimo autorizzare l'uso di questi nuovi mezzi di comunicazione. Va soltanto precisato che devono essere assicurati i fondamentali diritti di partecipazione, che sono costituiti: dalla scelta di un luogo di riunione, dove saranno presenti almeno il presidente e il segretario; dall'esatta identificazione delle persone legittimate a presenziare dagli altri capi del video; dalla possibilità di ciascuno di intervenire oralmente su tutti gli argomenti, di poter visionare o ricevere documentazione e di poterne trasmettere.

ASSEMBLEA

L'avviso di convocazione dell'assemblea deve pervenire ai soci in tempo per consentire agli stessi l'utile partecipazione alla riunione.

L'art. 2484 fissa il termine minimo di otto giorni per la spedizione della raccomandata contenente l'avviso di convocazione, non indica invece un termine minimo per il ricevimento di questa raccomandata. L'esigenza di un termine minimo è richiamata per implicito da alcune disposizioni, dettate in relazione a deliberazioni di particolare importanza (quindici giorni per la delibera di approvazione del bilancio ex art. 2429, terzo comma; otto giorni per la delibera di copertura delle perdite ex art. 2446, primo comma). Per giurisprudenza costante si richiede però che in relazione ad ogni tipo di delibera la raccomandata contenente l'avviso debba essere recapitata al socio in tempo utile per consentirgli di partecipare alla riunione. Poiché l'art. 2484 fa salva ogni diversa disposizione dell'atto costitutivo, si ritiene costituisca una corretta applicazione di questa norma una clausola che indichi il termine minimo di cinque giorni per il ricevimento dell'avviso. Ove sussista e sia rispettata una simile previsione, si ritiene che la mancata osservanza del termine minimo di otto giorni per la spedizione dell'avviso non contrasti con la disposizione in esame, che è finalizzata ad assicurare al socio un termine utile per informarsi e documentarsi sull'oggetto della riunione. Si ritiene inoltre legittima la clausola che preveda per la spedizione dell'avviso la scelta di un sistema di comunicazione diverso dalla raccomandata, purché assicuri il tempestivo ricevimento dell'avviso di convocazione (ad esempio il fax), con la precisazione che questo sistema deve trovare riscontro in dati di riferimento riportati a libro soci.

Non è legittima la clausola che consenta l'espressione segreta del voto, neppure in occasione della scelta dei componenti del consiglio di amministrazione.

Per principio consolidato, non si ritiene legittima l'espressione in assemblea di un voto segreto perché ne deriverebbe l'impossibilità di individuare i soci legittimati all'impugnazione o al recesso e quelli operanti in conflitto di interesse. Questo principio è valido anche in caso di votazione dei componenti del consiglio di amministrazione perché le "norme particolari" alle quali si riferisce il primo comma dell'art. 2368 riguardano le modalità dell'esercizio del voto (ad es. il voto di lista), che deve però essere sempre palese, per non violare le esigenze di legittimazione e di trasparenza sopra indicate.

OPERAZIONI SUL CAPITALE

Non è consentito distribuire utili risultanti da una situazione patrimoniale di periodo.

In caso di copertura perdite, l'intervento sul capitale deve comprendere anche il risultato negativo della situazione patrimoniale aggiornata. Non può invece essere distribuito l'eventuale utile di periodo. La differenza è giustificata dal fatto che, mentre le perdite non possono essere frazionate, gli utili diventano disponibili al momento dell'approvazione del bilancio di esercizio, ai sensi dell'art. 2433, rappresentando, fino a questo momento, un'entità contabile e non giuridica. Per questo stesso motivo si ritiene che l'utile di periodo non possa neppure essere utilizzato a parziale copertura delle perdite.

FUSIONE E SCISSIONE

E' consentito introdurre al progetto soltanto le modifiche rese necessarie da disposizioni di legge o da situazioni di fatto che non pregiudichino l'affidamento creato nei soci e nei terzi.

Oltre alle modifiche disposte da norme imperative e a quelle imposte in sede di controllo omologatorio, si ritiene che siano consentite modifiche al progetto depositato, purché non ledano l'interesse dei soci e dei terzi tra queste, lo spostamento di data della situazione patrimoniale, in considerazione del fatto che una situazione più aggiornata offre maggiori garanzie.

Va segnalato che sono state sottoposte al giudizio di questo Tribunale numerose situazioni in relazione alle quali si dubitava fossero intervenute circostanze che richiedevano una rinnovazione dell'intera procedura di fusione. Il dubbio è stato risolto in senso negativo in tutti quei casi in cui il progetto originale contenesse tutti gli elementi utili per la delibera di fusione: e così si è ritenuta omologabile la delibera, senza necessità di determinare il rapporto di cambio, nel caso in cui il progetto prevedesse che, al momento della delibera, l'incorporanda sarebbe stata interamente posseduta oppure quando, in caso di fusione tra più società, il progetto prevedesse la possibilità che la fusione venisse realizzata anche tra alcune soltanto delle società interessate.

"Non è necessario sottoporre al controllo di legittimità del Tribunale l'atto di fusione (o di scissione) quando lo stesso contenga l'atto di costituzione della società risultante".

La contraria massima enunciata il 27 marzo 1996, oltre a presentare notevoli inconvenienti pratici, derivanti soprattutto dai diversi orientamenti seguiti da altri Tribunali interessati alla stessa operazione e dalla possibilità di differenti valutazioni effettuate in tempi diversi sulla stessa operazione dall'autorità di controllo, trovava fondamento giuridico nella qualificazione del fenomeno come costitutivo del nuovo ente: si era infatti osservato che l'intervento di omologa era indispensabile per accertare l'esistenza delle condizioni di legittimità della costituzione della nuova società risultante dalla fusione o dalla scissione. Questa qualificazione è stata recentemente rivista dal Tribunale, con l'adesione alla ricostruzione del fenomeno come modificazione dell'atto costitutivo delle società che partecipano alla fusione (e a maggior ragione alla scissione). Ne deriva che l'esame dello statuto della nuova società deve avvenire in fase di omologa della delibera di fusione (o di scissione) e l'atto di fusione (o di scissione), che è opera dei soli soggetti delegati all'esecuzione della volontà assembleare, deve semplicemente essere depositato ai sensi dell'art. 2504, secondo comma (e 2504 novies, quarto comma). Da questa nuova impostazione discende anche che una società per azioni con socio unico potrebbe scindersi con creazione di una nuova società per azioni, ovviamente con socio unico, non ricorrendo l'ipotesi di cui all'art. 2332, n. 8.

In caso di emissione di obbligazioni contestuale ad una delibera di fusione, la capienza del capitale va determinata sulla base del nuovo capitale, purché questo non ammonti a cifra superiore alla sommatoria dei patrimoni netti delle società partecipanti alla fusione.

E' già stato rilevato con una massima del 1984 che, per attestare la capienza del capitale a servizio del prestito, non è necessario procedere all'approvazione di un nuovo bilancio quando sia intervenuto un aumento gratuito del capitale, e ciò perché si è semplicemente provveduto ad una destinazione a capitale di poste del patrimonio netto già risultanti a bilancio. In applicazione di questo principio, contestualmente ad una delibera di fusione è possibile deliberare l'emissione di un prestito della società incorporante nei limiti del nuovo capitale risultante, purché questo capitale non ecceda la somma delle poste indicate a patrimonio netto delle società partecipanti alla fusione.

Nel caso di fusione inversa, agli azionisti della società incorporata devono essere attribuite pro quota le azioni proprie dell'incorporante.

In caso di fusione non si applica il disposto dell'art. 2357 c.c. e pertanto le azioni proprie risultanti dalla fusione inversa devono essere annullate e convertite in azioni da assegnare ai soci dell'incorporata.

Nel caso di fusione o di scissione con effetti differiti dopo la scadenza dell'esercizio, gli adempimenti fiscali e di bilancio delle società estinte sono a carico della società beneficiaria; ove più società partecipino alle operazioni di fusione o scissione, è opportuno che il progetto indichi la società che si assume quest'onere, non essendo ammissibile che il bilancio delle società estinte non sia depositato o sia smembrato secondo le diverse componenti trasferite alle diverse società.

Proprio perché fusione e scissione sono fenomeni di modificazione delle società, gli obblighi che gravano sulle società che cessano di esistere si trasferiscono a quelle che traggono benefici dall'operazione. E' costantemente ammesso che le deliberazioni di fusione e scissione, come tutte le altre deliberazioni societarie, possono prevedere un termine ultrattivo di efficacia e gli operatori normalmente fissano questo termine alla prima scadenza dell'esercizio sociale successiva alla delibera di fusione e scissione. Accade pertanto che i bilanci delle società conferenti o scisse, nei casi di fusione e scissione con estinzione di queste società, devono essere redatti e presentati in epoca in cui risultano estinte. Gli adempimenti devono dunque essere eseguiti dalle società conferitarie o beneficiarie, che dovranno tenere conto della situazione esistente prima del termine di efficacia della trasformazione. Per evitare contestazioni o incomprensioni, con implicazioni di carattere penale, nel progetto di fusione o scissione è opportuno venga indicato, in caso di più società risultanti, quale società si assumerà l'onere di questi adempimenti.

LIQUIDAZIONE

Non è legittimo procedere a riduzione parziale delle perdite in fase di liquidazione.

Nelle massime del 27 marzo 1996, nella parte riservata alle operazioni sul capitale, dopo aver richiamato l'attenzione sul corretto concetto di "perdita" è stata segnalata la possibilità di ridurre il capitale per perdite anche in fase di liquidazione. Nella parte riservata alla liquidazione si è trattato il problema delle possibili modifiche statutarie finalizzate alla riduzione delle spese di gestione. I due argomenti sono stati indebitamente collegati, traendo l'errata convinzione che il Tribunale consenta la parziale copertura delle perdite in fase liquidatoria, purché l'operazione venga finalizzata ad eliminare spese, e innanzitutto quelle dei compensi per il collegio sindacale.

Sembra quindi opportuno ribadire che non è consentito, neppure in fase di liquidazione, ridurre il capitale per coprire soltanto parzialmente le perdite esistenti. La giurisprudenza attuale del Tribunale si pone quindi in una posizione intermedia tra coloro che sostengono che in fase di liquidazione ogni operazione sul capitale sarebbe vietata perché gli artt. 2446, 2447 presuppongono una società in piena attività e non in stato di scioglimento e coloro che ritengono che le operazioni sul capitale, in quanto dirette o a procurare liquidità o a eliminare un debito verso i soci, sono compatibili con gli scopi liquidatori.